Camera di Consiglio
QUANDO L’INSEGNATE COMMETTE ABUSO DEI MEZZI DI CORREZIONE – Il delitto di “abuso di mezzi di correzione o disciplina” si integra qualora l’agente abusi dei mezzi di correzione o di disciplina che può utilizzare in danno di una persona sottoposta alla sua autorità, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, ovvero per l’esercizio di una professione o di un’arte.
La norma, in particolare, ha la finalità di reprimere la condotta di tutti coloro che, in forza della loro autorità, abusano dei mezzi di correzione e di disciplina nei confronti della persona loro sottoposta o a loro affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte, sempre se dal fatto deriva un pericolo al corpo o alla mente.
Con una recentissima sentenza, la Corte di Cassazione ha confermato il carcere ad una professoressa la quale era stata condannata per il delitto di cui sopra per aver insultato e offeso con aggressività i suoi alunni adolescenti, determinando in questo modo un concreo pericolo per la salute mentale dei ragazzi, della tenera età compresa tra i 14 e i 15 anni.
Di ovvietà si è trattato di casi gravi: in particolare la professoressa usava rivolgersi agli allievi con epiteti ingiuriosi e molto offensivi [che in questa sede non verranno riportati, N.d,A.], mostrare il dito medio, spintonare e colpire gli allievi con libri e registri , lanciare loro oggetti , tutti atti giudicati idonei, in concreto, a ledere la loro dignità, facendone derivare una malattia nel corpo e nella mente, il tutto durante le ore di lezione.
Le prove testimoniali, corroborate dalle dichiarazioni del Preside dell’Istituto superiore, nonché di tutte le lettere di richiamo da parte dei genitori degli alunni, oltre ai due procedimenti disciplinari che erano stati rivolti all’insegnante, senza che ciò comportasse cambiamento alcuno, hanno fatto confermare alla Suprema Corte quanto statuito dal Primo Giudice.
La Professoressa ricorreva per Cassazione affermando che le testimonianze fossero inaffidabili e che non vi fosse prova della capacità della propria condotta a causare una malattia del corpo o della mente ad i suoi allievi.
La Corte non ha accolto il ricorso, proprio alla luce della linearità e della concretezza delle prove testimoniali stesse così come descritte nella sentenza d’Appello che la condannava; inoltre, le offese erano tali da colpire i minori anche nella sfera sessuale. Trattandosi di minori, è praticamente ovvio che tali condotte non potessero che influenzarli, poiché tendenzialmente fragili sotto l’aspetto psichico.
E tale decisione giungeva sulla scorta della stessa Giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale in tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina, la nozione di “malattia” è più ampia rispetto a quella utilizzata, ad esempio, per determinare la presenza di lesioni personali, poiché tale concetto va fino a comprendere ogni conseguenza di tipo traumatico e rilevante sulla salute psichica delle vittime, che in questo caso, erano minori.
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