Il coraggio di Navalny
Da tempo esiste in Russia un’opposizione diffusa contro il tirannico Putin, che domina il paese dal 2000. Il Kremlino l’ha combattuta con le armi classiche di uno stato di polizia: arrestando, espellendo dal Paese (e, in alcuni casi, assassinando) gli oppositori più fastidiosi.
Il caso di Navalny è notissimo: il fondatore della Lega Anticorruzione, instancabile denunciatore delle prevaricazioni putiniane, è stato alcuni mesi fa avvelenato ad opera del Servizio Segreto russo. Non è morto, e per lui si è mobilitata una buona parte dell’opinione pubblica mondiale, finché Putin ha deciso di permettergli di essere curato in Germania, calcolando che poi ci sarebbe restato, perdendo il contatto con la sua base in Russia. Ma Navalny, con uno straordinario coraggio, è tornato in patria, dove è stato subito arrestato e inviato in una colonia penale. Ora pare sia gravemente ammalato. A Mosca ci sono state manifestazioni spontanee a suo favore, che la polizia ha lasciato fare, mentre è pesantemente intervenuta a Pietroburgo.
Lo scontento popolare è animato da vari fattori, primo di tutto la visibile corruzione, che coinvolge lo stesso Putin. Ma per il momento i suoi referenti sono in prigione, o in esilio. È lecito chiedersi che avvenire essa abbia, di fronte a un regime tirannico, che ha rispolverato tutte le peggiori tattiche dell’epoca sovietica, e con un leader che è deciso a rimanere al potere praticamente a perpetuità. La situazione ricorda ormai molto da vicino la Bielorussia e altre dittature nel mondo e costituisce un monito per tutti gli altri, noi per primi: la libertà e la democrazia sono beni essenziali, ma non sono mai scontati. Perderli è sempre possibile. Sta a tutti noi difenderli dagli attacchi delle tentazioni autoritarie che di tanto in tanto riaffiorano anche nella civilissima Europa.
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