L’ombra della Cina

La lunga ombra della Cina si è proiettata sui due maggiori eventi internazionali della scorsa settimana: il vertice dei G-7 in Cornovaglia e il summit della NATO a Bruxelles, ai quali ha partecipato per la prima volta il Presidente Biden.

I temi del G-7 erano scontati: pandemia e clima, ed era scontato su di essi un ampio accordo, almeno di facciata. L’impegno dei Grandi a fornire un miliardo di dosi di vaccini ai Paesi poveri entro il prossimo Summit è generoso anche se, probabilmente, insufficiente. L’impegno sul clima segna il ritorno degli Stati Uniti a una benvenuta ragionevolezza e senso di responsabilità. Si tratta comunque di decisioni che erano state preparate con cura nelle riunioni degli sherpa e non ci si aspettava una vera discussione tra i leader.

Invece, le fonti più attendibili indicano che c’è stata una discussione a porte chiuse di oltre un’ora e mezza a proposito della Cina. I temi immediati erano almeno tre: Hong Kong, Taiwan, il lavoro forzato in alcune province cinesi, a cui si aggiunge, non scritto, il problema dell’origine del Covid.

Ma è legittimo pensare che, al di là di queste questioni puntuali, si è discusso sul complesso dei rapporti con il gigante asiatico e sulla linea da tenere nei suoi confronti. Qui, seppure è certo che Biden ha potuto portare a casa una certa solidarietà alleata, le opinioni non sono state le stesse. USA, UK, Canada, sono a favore di una linea dura e confrontativa; altri preferiscono una linea più articolata, che mantenga canali di dialogo e rispetti certe suscettibilità cinesi. Non slo perché c’è bisogno della Cina per la collaborazione sul clima, ma perché la Cina è ormai protagonista dell’economia mondiale, mercato importante per molti occidentali, oltreché crescente potenza militare. Secondo la stampa inglese, a sostenere la necessità di un approccio franco ma moderato è stato Mario Draghi, anche lui nuovo a un Summit G-7 ma già conosciuto e rispettato da tutti.

La sua posizione può non apparire facile, ma è necessaria: finché è possibile, nei rapporti con una potenza di quelle dimensioni, l’equilibrio è necessario.

Il fatto relativamente nuovo è che di Cina si è occupato anche il vertice NATO: L’Alleanza è nata ed è vissuta in funzione di difesa dall’URSS prima e dalla Russia poi, anche se ha esteso la sua attività ai Balcani e all’Afghanistan (da cui peraltro si sta ritirando). Per decenni, la Cina non ha rappresentato un problema diretto per la sicurezza atlantica. Ora non è più del tutto così: con la sua espansività economico-finanziaria il sistema cinese sta mettendo radici anche in Europa e in Africa. La sua capacità tecnologica pone, come nel caso Huawei, seri problemi alla sicurezza cibernetica degli Alleati. Non è difficile pensare che anche alla NATO il tema sia stato dibattuto negli stessi termini dei G-7 e con le stesse posizioni differenti. Il risultato è stato un richiamo alla Cina ad agire responsabilmente nel campo internazionale. Non è molto, ma è qualcosa.

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