15 agosto, sessant’anni dal Muro

Chissà quali titoli aprirono i giornali del 15 agosto 1961, quando internet non permetteva forme di comunicazione immediata e l’informazione trovava spazio nell’unico TG nazionale e sui quotidiani si potevano leggere le notizie solo il giorno dopo che era accaduto il fatto accaduto. Gli italiani del boom erano probabilmente sulle spiagge o a trovare i parenti dopo un viaggio in treno, attraverso una penisola ancora senza rete autostradale e, forse, non fecero molto caso alle novità che arrivavano da Berlino. Il mattino dell’otto agosto era iniziata la costruzione di un muro che divise non solo l’attuale capitale tedesca ma tutto il mondo fino al suo abbattimento quasi trent’anni dopo.

Le premesse erano state poste già con la fine della Seconda guerra mondiale, quando le potenze vincitrici già alla Conferenza di Jalta avevano deciso la divisione in quattro settori della città, sotto l’amministrazione rispettivamente di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Unione Sovietica. Già nel 1948 erano insorti con i sovietici i problemi che portarono al ponte aereo per rifornire Berlino ovest dopo il blocco della città da parte delle truppe di Mosca e, per tutto il decennio successivo la tensione tra i due blocchi non si allentò certamente e la fuga di cittadini tedeschi nell’enclave controllata dalle potenze occidentali non era tollerabile dal regime sovietico che, già alcuni giorni prima, avevano iniziato a disporre barriere di filo spinato nonostante due mesi prima Walter Ulbricht, capo di Stato della allora DDR avesse espressamente dichiarato che “Nessuno ha intenzione di costruire un muro”.

Il quindici agosto al filo spinato si aggiunsero i primi blocchi di cemento di quello che venne dichiarato con una terminologia che suona quasi ironica, barriera di protezione antifascista” in quanto avrebbe dovuto impedire l’ingresso nella zona di influenza comunista da parte di spie e, appunto, fascisti oltre ad evitare aggressioni. Viceversa, il sistema per impedire ai berlinesi e agli altri tedeschi dell’est di fuggire dal regime controllato da Mosca, venne reso un valico di 155 chilometri che chiudeva l’intera Berlino Ovest ed era controllato da militari armati che eseguirono spietatamente l’ordine di impedire ogni fuga. Questo ordine che venne ribadito anche poco prima della caduta del muro da Erich Mielke, Ministro per la Sicurezza della DDR e fondatore della famigerata STASI, l’organizzazione di spionaggio che controllava i dissidenti, che ancora nell’aprile 1989 esortava i custodi del muro a fare il loro dovere con la frase “Se dovete sparare, fate in modo che la persona in questione non vada via ma rimanga con noi.

Dopo poco meno di due anni dalla sua costruzione John Kennedy pronunciò la frase “Ich bin ein Berliner” per l’abbattimento del muro a Nikita Krusciov e venticinque anni più tardi fu Ronald Reagan a dire: “Mr. Gorbachev, open this gate. Mr. Gorbachev, tear down this Wall.”. Nel novembre 1989, con il crollo dell’ideologia comunista e dei regimi che volevano imporre quel sistema, venne abbattuto anche il muro.

In quei trent’anni i tentativi di fuga andati a buon fine sembra furono circa cinquemila, ma si ricordano anche i numerosi morti che sono stati causati dal muro. La prima vittima fu Ida Siekman, che si lanciò dal terzo piano della sua abitazione, che si trovava lungo la linea di confine; ricordiamo Marienetta Jirkowski, che nel novembre 1980 venne uccisa con oltre venti colpi d’arma da fuoco. Ma una delle ultime vittime del muro è stata probabilmente Conrad Schuman, un soldato della DDR che con un balzo immortalato da una fotografia, saltò il filo spinato proprio il 15 agosto 1961. Si suicidò nel 1998, nella sua casa in baviera dopo essere ritornato nella capitale della Germania unita. Alcune cronache parlano di un litigio con la moglie, altre di depressione dopo aver rivisto il luogo del muro.

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