Un divano a Tunisi (Film, 2019)
Un divano a Tunisi conquista Venezia nel quadro de Le giornate dell’autore. Primo lungometraggio della regista franco-tunisina Manele Labidi – di scuola Woody Allen – interpretato dalla bravissima attrice iraniana (naturalizzata francese) Golshifteh Farahani, ben calata nel ruolo di una psicologa che torna al Paese di origine per esercitare la sua professione. Il film sarebbe dovuto uscire prima (marzo 2020) ma la chiusura delle sale ha rimandato la visione nei circuiti FICE, trasformandolo in pellicola di metà stagione 2021.
In breve la trama. La regista (pure sceneggiatrice) narra le vicissitudini della giovane psicologa Selma Derwish (Farahani), dal carattere forte e indipendente, cresciuta insieme al padre in Francia che decide di tornare a Tunisi, per aprire uno studio privato. Tutti i nodi tipici di una società in sviluppo vengono al pettine, la Tunisia reduce dalla Primavera araba non è la Francia, forse non è ancora pronta ad accettare una donna psicoanalista. Selma si scontra con un ambiente ostile, dai parenti che vorrebbero farla tornare a Parigi, la polizia che la tormenta perché non ha una licenza, lo Stato che tarda ad approvare il suo lavoro e a concedere l’autorizzazione.
Manele Labidi gira una commedia leggera, molto alla francese, che a tratti ricorda anche la lezione della commedia all’italiana che da problemi culturali profondi faceva scaturire momenti di comicità esilaranti. Tutto contribuisce a creare un clima divertente e al tempo stesso a far pensare: pregiudizi, caos, ignoranza, oltre a una serie di pazienti eccentrici che ricordano alcune sequenze di Caruso Paskoski diretto e interpretato da Francesco Nuti. La regista realizza un quadro fotografico (bravissimo Laurent Brunet) della Tunisia contemporanea, tra città caotiche e affascinanti zone desertiche, cerca di raccontare lo sgomento del dopo Ben Alì, con una Rivoluzione che ha trionfato ma che ancora non riesce a costruire un vero Stato di diritto. Colonna sonora straordinaria con due brani di musica italiana in apertura e chiusura del film, gestita dal diligente Flemming Nordkrog.
Molto bravi gli attori, in gran parte franco-tunisini, poco noti al nostro pubblico, ma abili nel gestire i personaggi di contorno, spesso grotteschi ed estremi (il gay che non si accetta, la parrucchiera, l’Iman senza barba), non certo caricaturali. Golshifteh Farahani esce fuori con prepotenza in un ruolo da protagonista, una donna che vorrebbe lasciarsi andare, persino innamorarsi, ma che non riesce ad abbandonare la corazza di indipendenza e forza interiore che si è costruita. Un personaggio complesso e affascinante, forse non del tutto risolto, ma che conferisce alla pellicola un alone di mistero e di inquietudine. I motivi per cui Sama è tornata a Tunisi non sono chiari neppure a lei, forse una chiamata, forse un ritorno alle origini, in ogni caso adesso che è di nuovo tra la sua gente vuole lottare con loro per costruire una società migliore. Da vedere.
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Regia: Manele Labidi. Paese: Francia. Durata: 88 min. Genere: Commedia. Distribuzione: BIM. Sceneggiatura: Manele Labidi. Fotografia: Laurent Brunet. Montaggio: Yorgos Lamprinos. Musiche: Flemming Nordkrog. Produzione: Kazak Productions. Interpreti: Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, Hichem Yacoubi, Moncef Ajengui, Ramla Ayari, Amen Arbi, Feryel Chammari.
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[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]