Demenza digitale alle porte?
Manfred Spitzer è uno psichiatra e neuroscienziato tedesca che ha pubblicato un interessantissimo libro dal significativo titolo Demenza digitale nel quale dimostra come la nuova tecnologia rende stupido l’uomo.
Forse noi non ci pensiamo che, ogni giorno, grazie allo strumento digitale di cui sembra non riusciamo più a fare a meno e che, probabilmente, stai usando in questo preciso istante per leggere queste parole, il nostro cervello corre il rischio di perdere qualcosa. Quanti numeri di telefono conosciamo a memoria? Forse neppure quello di un figlio per chiamarlo quando non sappiamo dove si trova con gli amici o della moglie per avvertirla che siamo in ritardo per un appuntamento di lavoro. La certezza che l’immensa memoria del nostro cellulare contiene tutti questi dati ci fa sentire sicuri e permette alla nostra mente di non immagazzinare dati che sono invece importantissimi. La sentenza di Spitzer è senza appello: “l’abuso dei nuovi strumenti rende «malati» e gli effetti creano conseguenze drammatiche, sia sulle capacità cognitive che sull’empatia necessaria per avere rapporti sociali fisiologici”. Attenzione, correttamente viene usata la parola abuso, che è ben diversa da un normale corretto e consapevole uso.
Ci troviamo catapultati nella rivoluzione digitale e con in mano strumenti che possono essere vere e proprie armi se impropriamente usati. Per tornare ai numeri di telefono, i cosiddetti boomers (nati secondo la più utilizzata classificazione tra il 1946 ed il 1964) usavano la ruota del telefono e prestavano attenzione a non sbagliare il numero di telefono della nonna o della fidanzata; il numero, inoltre, lo conoscevano a memoria (come la tabellina del sette) perché non potevano ingombrare le tasche con un taccuino o una penna. Probabilmente molti di noi ancora ricordano alcuni numeri. Ai nativi digitali, invece, bastano due click su una tastiera luminosa, tra un gioco e l’altro, per chiamare a casa. Inutile usare la memoria umana: basta quella digitale.
La tecnologia si è mossa ad una velocità spaventosa che ha reso il fenomeno incontrollabile. In passato avvicinarsi ad un nuovo prodotto era un processo fatto con cautela e in pochi avrebbero fatto un balzo nel vuoto prima di acquistare anche solo un nuovo televisore o una radio perché si fidavano del vecchio strumento, oggi è a dir poco normale cambiare cellulare o tablet non appena arriva sul mercato una versione aggiornata. Oltretutto corriamo il rischio che quella vecchia non sia più supportata dai nuovi sistemi.
Così le E-mail che nacquero a livello sperimentale nel 1971 sono diventate il modo normale di comunicare nel 2000 e dopo venti anni sembra siano state già sostituite dalla messaggistica online supportata da Android che è nato nel 2008. Perché, quindi, perdere tempo a scrivere a mano una lettera e aspettare che il postino la consegni? Tutto e subito era ciò che gridavano nelle piazze i giovani nel 1968. Oggi la loro richiesta è realtà, Con qualche rischio.
L’esempio più calzante può essere quello dei compiti a casa. Quando la maestra delle elementari chiedeva a Marco, nato nel 1964, di fare una ricerca, lo studente apriva una o più enciclopedie, magari un libro specifico sull’argomento e, dopo, scriveva a mano i risultati della ricerca. Forse li copiava addirittura in bella sul quaderno e, il giorno dopo, poteva leggerli ad alta voce in classe e rispondere a qualche domanda della stessa maestra o dei compagni.
Altro elemento da considerare: quelle enciclopedie i genitori probabilmente le pagavano a rate o cambiali per dare un’istruzione al figlio. Oggi lo stesso studente ha la possibilità di digitare su Google la parola chiave e fare copia incolla magari direttamente dalla pagina di Wikipedia e stampare il suo risultato.
Spitzer fa presagire un contesto futuro in cui la demenza digitale potrebbe diventare ordinaria e, a ben pensarci, l’uso smodato che già viene fatto dell’intelligenza artificiale già ci sta portando in questa direzione.
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