L’Era dell’Algocrazia

Un computer è una macchina che, come ogni altro strumento, ha bisogno di una forza che lo faccia muovere o di un suo carburante. Così come per un martello la forza motrice è il braccio dell’uomo che lo muove, per un computer, oltre all’energia elettrica, serve quella particolare benzina che permette alla macchina di compiere un percorso a proprio modo logico. Attenzione, a suo modo. Non quello di colui che pensa di gestirla.

L’immissione costante di dati all’interno di un elaboratore e la loro analisi incrociata, gli permette di venire a conoscenza di chi lo tiene in mano. I sistemi di intelligenza artificiale e le connessioni con altri elaboratori, sono sempre più rapide e puntuali e, quasi per miracolo, fanno comparire sul display dell’utente quelle che sembrano le migliori soluzioni e la risposta ad ogni domanda che, forse, neppure pensava neppure di porsi.

Algoritmi sempre più sofisticati, nutriti da milioni di dati che vengono interfacciati e profilati tra loro, governano le nostre esistenze influenzando i comportamenti quotidiani già nelle piccole cose e determinano decisioni che sono sempre meno demandate al nostro raziocinio. Ne volete la prova? Fate la stessa ricerca di un oggetto da acquistare su due terminali diversi; magari di due persone diverse. Pensate che i risultati siano gli stessi? Forse potranno esservi molte similitudini, ma è un caso rarissimo vi sia identità di risultati. Ecco che qualcuno vi ha chiaramente indirizzato verso quella che, molto probabilmente sarà la vostra scelta. Inutile, del resto, fare altre ricerche o visitare tutti i siti consigliati.

Il vostro cellulare vi conosce; sa le direzioni che prendete, le vostre preferenze, le tipologie di contatti che cercate. Gli avete insegnato i vostri percorsi e lo avete autorizzato, mediante una serie di click, accettando “condizioni di navigazione e privacy policy” che gli permettono di pedinarvi e informare uno sconosciuto interfaccia che pensavate di non avere. Insomma, ci siamo creati degli stalker personali che portiamo in tasca.

Algocrazia è il nuovo termine è la nuova forma di governo che caratterizza la rivoluzione digitale. Governo degli algoritmi. Siamo lontani anni luce da quando nacque il termine democrazia usato addirittura in senso dispregiativo per indicare la “dittatura della maggioranza”. Churchill la definì “la peggior forma di governo ad eccezione di tutte le altre forme che sono state sperimentate.”

Tuttavia, i nostri padri costituenti la vollero inserire nel primo articolo della Costituzione, probabilmente ignari di un’evoluzione tecnologica che in settant’anni ha cambiato il mondo e, oggi, i cittadini a cui era stato demandato il potere di scegliere i governanti con di voto, preferiscono farsi guidare da una macchina.

Gli algoritmi sono fondamentali per far funzionare il sistema digitale; stiamo andando verso la completa digitalizzazione della pubblica amministrazione, della giustizia, del sistema di fare acquisti anche di socializzare. Anche il sesso può essere digitalizzato: nel virtuale si può scegliere un partner che non dice di no e, altro vantaggio, si evitano malattie e infezioni.

Ma siamo sicuri che sia la direzione giusta? Siamo davvero certi che un uso eccessivo e, verosimilmente, distorto degli algoritmi non possa portare a conseguenze realmente inquietanti? Il Grande Fratello di Orwell era una figura solo immaginata o, veramente il quadro tracciato in “1984” era una previsione? Nel romanzo i protagonisti assistevano alla proiezione di immagini che insegnavano chi doveva essere odiato; oggi è lo smartphone che mette in contatto con chi già sa vi può essere un’interazione positiva.

Difficile uscirne e la pandemia ha forse accelerato un percorso senza ritorno anche se non possiamo negare che il nuovo contesto sia estremamente comodo. Possiamo farci consegnare a domicilio cena e spesa ma anche contatti con persone che sono d’accordo con noi e ci evitano il mal di fegato di discutere con chi ci contraddice. Possiamo anche credere che esista un pensiero unico.

Tutto ciò avviene nel marketing, nella diffusione di notizie, nella comunicazione generale. E in politica? Troppe persone non votano “perché tutto è già deciso”. L’affluenza alle urne in costante calo potrebbe essere un effetto di questo sistema e esiste il concreto rischio di demandare realmente le nostre esistenze alle macchine e all’intelligenza artificiale che hanno dimostrato di ben conoscerci e sanno come determinare molti nostri comportamenti.

Prima di andare oltre su questa strada, proviamo a chiederci che può esserci dietro agli algoritmi e se possiamo fermarli. Forse una croce su una scheda elettorale potrebbe essere un piccolo e importante passo. Si chiama ancora democrazia.

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