Cronache dai Palazzi

Sono circa 5 i miliardi sul tavolo per fronteggiare il caro bollette, mentre a via XX Settembre si studiano ulteriori soluzioni senza aggravare il deficit con un ulteriore scostamento di bilancio. Ma i partiti pressano e chiedendo di più, arrivare a 10 miliardi, in particolare per sostenere le famiglie a basso reddito e delle imprese energivore.

“Sto lavorando per un decreto che tagli il caro bollette, questa è una vera emergenza nazionale”, ha affermato il leader della Lega Matteo Salvini, mentre il segretario dem Enrico Letta chiede “un intervento tempestivo e di svolta”. Antonio Tajani di Forza Italia sottolinea che bisogna aumentare la produzione italiana di gas. Per sensibilizzare il governo sull’aumento del costo dell’energia, su iniziativa dell’Anci, 3 mila comuni italiani hanno spento per mezz’ora le luci di molti edifici rappresentativi. Anche i sindacati chiedono un intervento sostanziale sulle bollette; il segretario della Cgil, Maurizio Landini, si è espresso sui contratti affermando che “continuare a calcolare gli aumenti salariali sulla base dell’Indice Ipca (indice dei prezzi sul consumo armonizzato) depurato dai prezzi energetici non è accettabile”, in quanto sono proprio luce e gas che fanno lievitare i prezzi. Quindi “significherebbe autorizzare una riduzione dei salari, anziché aumentarli”.

Nella classifica “Top ten” dell’impennata dei prezzi in prima posizione vi è il gas naturale e gas di città (+62,5) e al secondo posto l’energia elettrica (+62,1). Seguono “altri carburanti per mezzi di trasporto privati” (+41,1); “gasolio per riscaldamento” (+21); “gasolio per mezzi di trasporto” (+20,2); “benzina” (+18,9). Sono aumentati anche i prezzi dei prodotti alimentari, tra le prime posizioni frutta e verdura e pasta.

Per il premier Draghi “la crescita sostenuta, equa, sostenibile è il miglior custode della stabilità. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) rappresenta la grande sfida e occorre portarlo avanti “con unità, fiducia, determinazione”. Il Piano “appartiene a tutti gli italiani” e per la sua buona riuscita “occorre spendere bene, vigilare sui conti”. In sostanza il modo migliore per affrontare i mercati finanziari e continuare con una crescita sostenuta, sostenibile, duratura”. Ma “l’importante è che la crescita non sia strozzata dal caro energia”, ha affermato il premier Draghi nella conferenza stampa di fine settimana con il ministro dell’Economia, Daniele Franco, e la ministra della Giustizia, Marta Cartabia.

Il presidente del Consiglio ha sottolineato che fino ad ora il governo ha raggiunto tutti gli obiettivi previsti ma occorre che accada “lo stesso” anche quest’anno. “Serietà” e “affidabilità” sono le parole-chiave che devono guidare la ricostruzione: ”serietà” e “affidabilità” nei confronti dei cittadini italiani e verso i partner europei. Sono 100 gli obiettivi del Pnrr da raggiungere, 45 dei quali entro i primi sei mesi dell’anno. Solo così l’Italia potrà ricevere dall’Europa una seconda tranche di finanziamenti pari a 24,1 miliardi.

Oltre agli interventi per il caro energia, per cui si prevede un decreto fra i 5 e i 7 miliardi, il governo sta lavorando per apportare delle dovute correzioni al decreto Sostegni-ter e al Superbonus destinato ai lavori edilizi in particolare dopo gli episodi di frode che si sono verificati. Occorre inoltre incentivare il settore dell’Automotive e quindi favorire l’acquisto di auto e, nel contempo, il passaggio a mezzi meno inquinanti.

In visita a Genova, città simbolo della ricostruzione, il presidente del Consiglio – sulla base del modello Genova “esempio di collaborazione, rapidità, concretezza” – ha ribadito la necessità di non sprecare un’occasione storica. “L’Italia è diciannovesima al mondo per tempi e costi associati alla logistica, anche a causa degli oneri burocratici e dei ritardi nello sviluppo digitale. Dobbiamo abbattere questi ostacoli”, ha ammonito Draghi.

In questo contesto è di fondamentale importanza potenziare le infrastrutture e i collegamenti “tra porti, reti stradali, ferrovie per far fronte alla concorrenza”, migliorare l’alta velocità e così facendo creare nuovi posti di lavoro. In questo modo l’Italia intera potrà rinascere sul modello Genova: “Il mio auspicio è che lo stesso spirito di rinascita possa continuare a pervadere tutta l’Italia negli anni cruciali che abbiamo davanti”, ha affermato il premier Draghi confidando in un Paese “affidabile” e “fiducioso” nelle sue capacità. Un Paese che sostenga gli anziani, in cui ci sia spazio per i giovani, le donne e le persone più fragili, in sostanza un Paese “dove c’è spazio per il futuro”. L’esperienza del Covid dovrebbe aver acuito la voglia di rinascita.

Per far sì che la rinascita sia concreta occorre innanzitutto realizzare o completare alcune riforme fondamentali, tra cui la riforma della Giustizia, definita dalla Guardasigilli Marta Cartabia “una riforma ineludibile”. Ineludibile in primo luogo per la scadenza degli incarichi del Csm, ed inoltre per ripristinare il rapporto di fiducia tra cittadini e sistema della Giustizia. Occorre seguire “un percorso di rinnovamento e di recupero di fiducia e credibilità su cui pochi giorni fa il presidente della Repubblica ha fatto un richiamo importante”, ha spiegato la ministra di via Arenula. Sono fondamentali inoltre “norme più rigorose” che siano in grado di sostenere l’Ordine giudiziario in questo momento storico.

Sulla riforma della giustizia c’è stata una “discussione ricchissima e condivisa” in Consiglio dei ministri, ha affermato il premier Draghi durante la conferenza stampa a ridosso del Cdm che ha approvato la riforma del Consiglio superiore della magistratura. L’impegno politico è varare la riforma entro luglio. Sarà auspicato un “pieno coinvolgimento delle forze politiche nel rispetto dei tempi niente tentativi di imporre la fiducia”, ha sottolineato Draghi. In questa prospettiva sarà data “priorità assoluta in Parlamento al voto” per approvare le nuove norme. Sono emerse delle differenze di visione tra le diverse parti politiche ma prevale “l’impegno di superarle”. È una riforma di una tale portata che richiede “apertura” e “rispetto” nei confronti del Parlamento, ha affermato il premier.

La riforma del sistema giudiziario e del Csm è una “riforma esigente nei confronti dei giudici ma che risponde ad una esigenza della magistratura di essere forse un pochino più severa con se stessa, perché questa richiesta di recupero della credibilità viene soprattutto dall’interno” del sistema.

Auspicato un sistema della Giustizia dai tempi rapidi, certi, che favorisca l’afflusso degli investimenti stranieri, ha precisato Draghi. Fine delle “porte girevoli”, ossia i magistrati non potranno dedicarsi alla carriera politica, in quanto politica e magistratura sono due campi separati. La riforma esclude di esercitare funzioni giurisdizionali e nel contempo ricevere incarichi elettivi sia a livello nazionale sia locale.

Ai magistrati sarà inoltre vietato di candidarsi nelle Regioni in cui hanno esercitato la funzione di giudice o di pubblico ministero nei tre anni precedenti alle elezioni. Al rientro del mandato elettorale, inoltre, i magistrati non potranno più svolgere la funzione giurisdizionale e, eventualmente, saranno collocati presso il ministero della Giustizia o altre amministrazioni. Tale norma sarà valida anche per coloro che rientrano da incarichi di governo non elettivi. Chi si candida ma non viene eletto dovrà rispettare un periodo di “moratoria” di tre anni, distante dalle funzioni giurisdizionali, prima di poter tornare ad esercitare. Medesimo trattamento per coloro che ricoprono ruoli apicali in ministeri, capo di gabinetto, segretario generale o capo dipartimento.

Un altro tassello importante della riforma della Giustizia è un nuovo sistema elettorale per il Consiglio superiore della magistratura che dovrà rinnovarsi a luglio. I componenti elettivi del Csm tornano a essere trenta: venti togati scelti dai magistrati e dieci dal Parlamento, come avveniva prima della riforma del 2002. Tra i componenti togati due saranno giudici di Cassazione, tredici giudici di merito e cinque pubblici ministeri. I magistrati saranno eletti in virtù di un sistema misto: quattordici consiglieri saranno scelti con il sistema maggioritario sulla base di collegi binominali, e verranno eletti i primi due per ogni collegio. Il quindicesimo (un pm) sarà il terzo più votato individuato in base ad un calcolo ponderato fondato sul bacino elettorale nei diversi collegi. I rimanenti cinque saranno scelti tra i giudici con un sistema di voto proporzionale su base nazionale.

Cambiano anche le regole per nominare i magistrati destinati a incarichi direttivi e semidirettivi. Si procederà in ordine cronologico rispetto alle sedi vacanti. Tra gli obiettivi evitare le cosiddette “nomine a pacchetto”, ossia la spartizione di più posti tra le varie correnti. Il criterio dell’anzianità verrà considerato “residuale” rispetto alla valutazione del merito e delle competenze congruenti al posto che si dovrebbe ricoprire.

Per quanto riguarda il suo futuro politico all’ennesima domanda dei cronisti il premier Mario Draghi ha infine risposto per le rime. A chi lo ipotizza come un possibile federatore di un’area di centro per le elezioni del 2023, Draghi risponde fermamente: “Lo escludo”. La squadra di governo da lui guidata va invece avanti spedita senza alcun rimpasto.

L’ultimo anno del suo governo Draghi lo immagina “in maniera relativamente chiara”. Il dovere dell’esecutivo è “proseguire e affrontare sfide importanti per gli italiani” come “quella immediata del caro energia, quella meno immediata ma preoccupante che è l’inflazione che sta aggredendo il potere di acquisto degli italiani e sta intaccando la competitività delle imprese”. Ed infine “l’uscita dalla pandemia”, si inizia a vedere la luce in fondo al tunnel ed è quindi doveroso continuare a rispettare la tabella di marcia del Pnrr che “sta andando molto bene”.

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