Ucraina, la mossa di Draghi
Al termine del Consiglio Europeo, Mario Draghi ha accennato a una sua prossima visita a Mosca e a Kiev, dichiarando che l’obiettivo consiste ora nel mettere attorno allo stesso tavolo Putin e il Presidente ucraino Zelensky. Il Presidente del Consiglio è un negoziatore troppo navigato per non sapere che si tratta di un’impresa molto difficile e, tra l’altro, anche se riuscita non costituisce di per sé garanzia di un accordo. Se Zelensky fosse in grado di proporne uno accettabile, penso lo avrebbe già fatto direttamente con Putin. La mossa di Draghi fa seguito a quelle di Macron e Scholz e perlomeno dimostra che l’Italia non si lava le mani da un conflitto che riguarda tutti gli europei. Del resto, è stato costantemente consultato, o almeno informato, da Biden e parteciperà a una specie di summit occidentale con i responsabili di USA, Germania, Francia, Gran Bretagna, Polonia e Romania.
Il movimento diplomatico non si arresta, infatti, anche se fra crescenti e alterne tensioni e dichiarazioni contrapposte. Tra qualche giorno sarà il Segretario di Stato americano Blinken ad incontrare Lavrov a Mosca. Tutto questo però è un po’ un girare a vuoto se USA e NATO non affrontano in modo aperto i problemi fondamentali sollevati dal Cremlino. Non solo l’entrata dell’Ucraina nella NATO, che a me appare sempre più un falso scopo, quanto il più concreto problema di certi tipi di armamenti americani installati nei paesi NATO dell’Est (compresi i baltici). Per esempio, in un lungo e dettagliato articolo, il New York Times ha dato conto dell’installazione di centri missilistici americani in Polonia e Romania. Si tratta, sulla carta, di un sistema di difesa antimissili balistici, quindi di natura difensiva, e inoltre sarebbero diretti a fermare attacchi dall’Iran. Ma da anni la Russia considera l’esistenza di tali sistemi come una violazione dell’equilibrio strategico basato sulla mutua deterrenza e, inoltre, non è difficile usare un sistema di missili di intercettazione in missili di attacco nucleare.
Il fatto è che la situazione di sicurezza in Europa è ancora quella formatasi negli anni Novanta, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia, e del tutto sfavorevole alla Russia, che si è trovata ex alleati (e persino ex repubbliche sovietiche) ora parte della NATO. Ma la Russia in trent’anni è tornata forte e non è poi strano che Putin cerchi di ristabilire la situazione. Fino a che punto si spingerà non si può dirlo (analizzandone la personalità); il NYT presenta opinioni di esperti opposte, secondo cui lo zar del Cremlino è completamente razionale, ovvero un paranoico sempre più distanziato dagli altri (anche fisicamente: lo si è visto dal lunghissimo tavolo che lo separava dai suoi interlocutori stranieri). Certamente, è un uomo ossessionato dal bisogno di apparire forte, più forte degli altri. Dall’altra parte, c’è Biden, un gentiluomo democratico che però non può permettersi di apparire debole.
In questa miscela esplosiva, ci sono i leader europei come Macron, Sholtz, Draghi. Fanno quello che possono, ma sono anche loro limitati da quella che, in circostanze del genere, è la pericolosa retorica. Precedenti non mancano nella Storia. E ci volle davvero la grandezza di un John Kennedy al tempo della crisi dei missili cubani per scegliere la via del buon senso, contro tutti quelli che, da una parte e dall’altra, insensatamente gridano alla guerra.
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