Parole al vento
Nel suo discorso a Varsavia, peraltro serio e importante, il Presidente USA Biden non ha resistito alla cattiva abitudine di tanti politici di dare sfogo verbale alla propria indignazione e alle proprie frustrazioni. Non solo ha definito Putin “un macellaio” (già lo aveva chiamato “criminale di guerra”) ma ha detto che “non può governare”. Affermazione che sembrerebbe puramente teorica, se non facesse pensare a una politica diretta a un cambio di regime in Russia. Ne è nato un mezzo scandalo, Macron e l’UE hanno preso le distanze, la stessa Casa Bianca ha dovuto chiarire che il Presidente non aveva inteso chiedere un cambio di regime, il Cremlino si è offeso.
Una tempesta nel classico bicchiere d’acqua, per una ottima ragione: anche volendo, nessuno al di fuori della stessa Russia è in grado di provocare la caduta di Putin. Si tratta quindi di parole al vento, che possono al massimo manifestare un “wishful thinking”, un desiderio segreto e irrealizzabile.
Una lunghissima esperienza di politica estera mi ha insegnato, tra l’altro, che le parole possono essere pericolose quando, in più, sono inutili. In questo caso, hanno distolto per un po’ l’attenzione dal vero scandalo, che è l’aggressione russa che continua a far distruzione e morti. All’aggressione si risponde con i fatti, non con le parole.
Altre parole al vento, quelle di Zelenskiy che accusa l’Occidente di viltà. Zelenskiy, quali che siano i suoi presunti torti, rappresenta un popolo vittima di un’aggressione, che si difende con dignità e coraggio. Può farlo anche per gli aiuti che l’Occidente gli ha prodigato. Ma lui vorrebbe che gli fornissimo carri armati e aerei e che la NATO stabilisse una no-flight zone nei cieli dell’Ucraina. Vuole, in parole povere, che la NATO entri in conflitto diretto con la Russia, provocando una catastrofe nucleare che distruggerebbe la stessa Ucraina. Un costo che, credo, ben pochi in Occidente sono disposti a pagare.
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