Ucraina, il dilemma occidentale

La guerra in Ucraina sta andando in modo molto diverso da come tutti ci aspettavamo. Gli Ucraini resistono con un coraggio straordinario e persino contrattaccano. Il più sorpreso deve essere Putin. Il despota megalomane si aspettava una campagna rapida e facile, con la conquista di Kiev, le dimissioni e magari la fuga di Zelenskiy e la sottomissione del Paese al controllo del Cremlino. Errore di calcolo? Sottovalutazione dell’avversario? Sottovalutazione dell’unità e delle reazioni occidentali?

Poco si sa di cosa sta realmente accadendo a Mosca, dove regna una censura ferrea e chi osa manifestare contro la guerra o anche soltanto menzionarla va in prigione. Sotto certi aspetti, si è tornati all’epoca stalinista. Ma siamo in un’epoca di comunicazione globale e qualcosa filtra: il crescente isolamento di Putin, la sua crescente paranoia, forse le sue malattie, la scomparsa dalla scena del Ministro della Difesa Shojgu e del Capo di S. M. Gerasimov, l’arresto di alti ufficiali dell’intelligence, il morso delle sanzioni economiche sulla vita quotidiana.

Ma la situazione mette anche l’Occidente davanti a un dilemma: c’è chi pensa che le sorti della guerra possono essere rovesciate se si aiutano gli Ucraini con armi veramente efficaci, e ritiene che una sconfitta del Cremlino sia il solo esito desiderabile. Altri continuano a pensare che l’importante è ora spingere per una pace negoziata, senza vinti né vincitori.

Tra i “falchi” ci sono molti americani e inglesi (l’opinione pubblica USA è diffusamente antirussa, salvo il traditore Trump che ha trovato anche questa occasione per distinguersi per scelleratezza). Gli europei, Francia, Germania, Italia, sono in generale più moderati. Tutti condannano Putin, tutti accettano sanzioni e aiuti all’Ucraina, ma non fino al punto di provocare la distruzione dell’invasore.

Stati Uniti e Gran Bretagna, lo sappiamo, sono abituati a giocare pesante ove occorra (gli inglesi poi debbono farsi perdonare decenni di compiacenza per il denaro russo). Gli europei sono tradizionalmente più “soft”. Certo, sullo sfondo c’è il problema dell’energia, ma non solo questo. Parigi, Berlino, Roma, Bruxelles, sanno che non conviene spingere la Russia completamente ai margini, sia per non provocare una reazione imprevedibile – anche disperata (da Putin ci si può aspettare sempre il peggio) di cui saremmo le prime vittime – sia perché con la Russia siamo destinati a convivere anche in futuro, al di là della guerra attuale.

Questo dilemma si è riflesso finora nella politica condotta dalla NATO, dura ma alla fine prudente, ma non è detto che questo equilibrio possa durare sempre. Dipenderà, naturalmente, dagli sviluppi sul terreno e dai crimini che i russi potrebbero ancora compiere.

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