Le elezioni francesi
Sui risultati del primo turno delle elezioni presidenziali francesi si è, tra domenica sera e lunedì mattina, detto e scritto quasi tutto. Restano da fare alcune considerazioni riassuntive.
Macron è arrivato primo, come si prevedeva, e con la percentuale più o meno anticipata dagli ultimi sondaggi. Marine Le Pen, come nel 2017, è arrivata seconda (con 2 punti in più rispetto a quell’elezione) e tallona Macron da vicino. Anche questo era stato previsto, c’era anzi chi anticipava, o sognava, un sorpasso della candidata di estrema destra. Le due sorprese sono state però l’ottimo risultato del candidato della sinistra radicale, Melenchon, arrivato terzo, con una distanza molto ridotta da Marine Le Pen, e il magro risultato del demagogo Zemmour, che ha preso metà dei voti attribuitigli nei sondaggi, segno che, in un grande paese civile, la politica urlata e intollerante non funziona. Va poi notata la pratica scomparsa di due partiti che avevano governato la Francia per decenni alternandosi al potere: socialisti e gaullisti.
Le ragioni del risultato non esaltante di Macron sono varie: ha cercato di introdurre le riforme necessarie per ridare slancio all’economia francese, e si è trovato contro i “gilets jaunes”. Movimento di dubbia origine, in parte coltivato dalla Le Pen, in parte dalla propaganda occulta del Cremlino. Ha poi dovuto affrontare due anni di pandemia, che hanno colpito la Francia quanto e più di altri paesi. E infine l’invasione russa dell’Ucraina, per la quale ha cercato di svolgere, invano, un ruolo di mediatore che gli è stato persino rimproverato dai “falchi”, specie polacchi. Non ha di fatto partecipato alla campagna elettorale, forse sentendosi certo della vittoria e impegnato com’era sul fronte esterno. Ma c’è qualcosa di più: pare che molti in Francia (come me lo confermano amici francesi che stimo) lo considerino arrogante, pensino che “non ami i francesi”, ed è certo che i voti andati ai suoi rivali sono anche voti di protesta per il suo atteggiamento tecnocratico, tipico degli allievi dell’ENA, l’École nationale d’administration.
Quanto a Marine Le Pen, i due punti in più rispetto al 2017 non sono, in verità, tanto spettacolari, ma denunciano comunque una crescita del suo movimento e della sua figura, che viene generalmente attribuita a una conquistata (relativa) moderazione.
I due candidati andranno al ballottaggio del 24 aprile quasi testa a testa e senza un risultato facilmente prevedibile. È chiaro che ambedue cercheranno di attirare una parte del voto andato a terzi candidati e del voto degli astenuti. La chiave dovrebbe essere l’orientamento dei votanti di Melenchon, che non si può dire a priori verso chi andranno, anche se Melenchon ha escluso di votare per la Le Pen. Ci sono poi i voti dispersi in partiti del 4% e anche meno, che sommati fanno una differenza.
Insomma, è da vedere se Macron riuscirà anche questa volta a riunire quel “fronte repubblicano” che fin qui ha sempre bloccato i Le Pen. Intanto, per riparare la pratica assenza durante la campagna elettorale, si è già messo a girare per la Francia, cominciando da Nord industriale e impoverito che gli ha votato contro.
Prima del ballottaggio, vi sarà anche un dibattito televisivo tra i due candidati, che dovrebbe contribuire a chiarire un po’ le cose. L’uno e l’altra dovranno parlare concretamente di programmi, Marine Le Pen dovrà finalmente scoprire le sue carte circa Europa e Russia, che sono i due argomenti fondamentali di questo momento.
Inutile dire che il risultato del 24 sarà seguito con estrema attenzione a Washington e nelle grandi capitali europee, da Berlino a Roma e Bruxelles. Una vittoria della Le Pen potrebbe dare un serio colpo a quella integrazione europea, fuori della quale non c’è, né per noi né per alcun altro europeo, francesi inclusi, alcuna salvezza. Una conferma di Macron potrebbe al contrario assicurare altri progressi su quella strada, specie in materia di difesa comune, dei quali egli è ispiratore e fautore.
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