L’attualità delle Nazioni Unite

Esattamente settantasette anni fa, al termine della Conferenza delle Nazioni Unite sull’Organizzazione Internazionale, che si era tenuta a San Francisco dal 25 aprile 1945 e proprio fino al 26 giugno, cinquanta degli Stati Partecipanti sottoscrissero lo Statuto delle Nazioni Unite.

La Seconda guerra Mondiale non era ancora conclusa; poco più di un mese dopo le bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki portarono alla resa anche l’irriducibile Giappone, ma i rappresentanti di tutti gli Stati che si erano schierati contro l’Asse nazifascista, avevano sentito la necessità di dare un nuovo ordine mondiale dopo aver preso atto del fallimento della società delle Nazioni.

Già nell’agosto dell’anno precedente, dopo che lo sbarco in Normandia e la sconfitta tedesca a Stalingrado avevano segnato una svolta decisiva nel conflitto, i rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Cina e Unione Sovietica si erano incontrati a Dumbarton Oaks, vicino Washington, per preparare la successiva conferenza che avrebbe visto la nascita dell’ONU. Fu in questo primo incontro che venne stabilito che i membri permanenti del consiglio di sicurezza della futura Organizzazione avrebbero avuto il diritto di veto, che negli anni ha portato a non poche perplessità. Da molte parti ci si chiede se l’ONU sia ancora utile o quale debba essere la sua funzione; ma è fisiologico che un’organizzazione che sta per compiere ottant’anni possa sentire il peso del tempo e, magari, prendere atto che un nuovo e diverso modo di rapportarsi tra gli Stati abbia bisogno di una revisione delle procedure e di alcune modalità di intervento, ma lo Statuto e i principi ispiratori dovrebbero essere riletti e rivalutati.

Dopo mezzo secolo di conflitti sanguinosi e in un’epoca ancora caratterizzata da un forte colonialismo che lentamente andava a morire, leggere che “i popoli delle Nazioni Unite” intendono salvare le future generazioni dal flagello della guerra. Un concetto che sembra essere stato calpestato negli anni successivi se pensiamo che dal 1945, oltre a quelle in corso, abbiamo avuto guerre in Corea, Vietnam, Iran e Iraq e non solo, ma dobbiamo prendere atto che, grazie anche ai trattati che hanno creato l’Unione Europea, il Vecchio continente tranne, la tragica parentesi della ex Jugoslavia non ha visto conflitti sul suo territorio per la prima volta da secoli.

L’ONU è intervenuta con missioni anche militari ma mai come aggressore e non possiamo negare che organismi quali FAO, UNICEF e anche la bistrattata OMS sono emanazioni dirette del Palazzo di vetro che hanno adempiuto alle loro funzioni, dimostrando che, oggi, la cooperazione internazionale è una realtà.

La situazione tra Russia e Ucraina è probabilmente l’occasione per rivedere alcuni meccanismi, ma i principi di base non possono essere messi in discussione anche solo come norme di solidarietà umana, internazionale e di convivenza tra i popoli.

Il globalismo, invero, è una realtà che non può essere demandata alla competenza esclusiva di singoli stati nella sua gestione. L’esempio più rilevante è la rete che permette a ognuno di noi di essere collegato in tempo reale con chiunque dall’altra parte del globo, senza confini o barriere.

Internet dovrà trovare una regolamentazione mondiale possibilmente uniforme, forse sullo stesso schema del diritto marino, con aree riservate alle competenze dei singoli stati (ad esempio le ipotesi di reato), ma la navigazione selvaggia e senza regole può generare danni a livello mondiale come dimostrano gli effetti della disinformazione, delle fake news e non dimentichiamo la quantità e la gravità dei reati commessi sul darkweb e nel deepweb.

Ma tutto ciò non può prescindere dal rispetto e, forse, dal ritorno, di quei princìpi ispiratori che mossero i padri delle Nazioni Unite a sottoscrivere tre anni dopo, anche quella “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” che, riprendendo precedenti Carte e Dichiarazioni che risalgono all’Illuminismo e alla Rivoluzione Francese, hanno ribadito quali sono i diritti dei singoli che devono essere messi alla base dell’attività degli Stati.

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