Morte di un gigante

Dal 1986 al 1991 ho diretto il Segretariato della Cooperazione Politica, un primo passo verso la realizzazione di quella politica estera e di sicurezza comune che in tanti dicono di volere, ma che non è facile da raggiungere. In quegli anni, le questioni di interesse europeo erano molte, ma una dominava su tutte: la fine della Guerra Fredda, e con lei la caduta del Muro di Berlino, l’implosione dell’URSS e del Patto di Varsavia, la riunificazione della Germania; il tutto preceduto dai primi grandi accordi per la limitazione degli armamenti nucleari.

Il mondo respirava meglio, una nuova era di pace e di cooperazione internazionale sembrava aprirsi. E al centro di tutto c’era Mikhail Gorbaciov, l’uomo dal sorriso accattivante e la macchia sulla fronte, a cui dapprima Margaret Thatcher e poi un grande Presidente USA, Reagan, avevano saputo tendere la mano e che giustamente ricevette il Premio Nobel per la pace.

L’ho incontrato a Mosca quando, assieme al suo Ministro degli Esteri, Shevardnadze, ricevette una missione di Ministri europei, che io accompagnavo. Era impressionante la sua serenità e la sua padronanza degli argomenti. Giustamente è stato ricordato in tutto il mondo, da Biden fino allo stesso Putin, come un uomo che aveva cambiato la storia e, giustamente, gli vengono dedicati funerali di Stato.

Nel complesso panorama della seconda metà del XX Secolo, Gorby, come lo chiamavano allora, è stato uno dei pochi veri giganti. E se ancora fosse stato oggi al potere, non ci sarebbe stata l’aggressione all’Ucraina, che del resto, dal suo ritiro di vecchio malato, egli aveva apertamente criticato.

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