La sconfitta del PD

Sussistono pochi dubbi sul fatto che, alle ultime elezioni, il vero sconfitto sia il PD. Il partito di Letta ha avuto un risultato inferiore al venti percento e si sono scatenate le discussioni interne in attesa del prossimo congresso al quale l’attuale segretario ha anticipato che non ripresenterà la propria candidatura.

Intanto già si parla di possibili candidati che, peraltro, preferiscono mantenere un profilo per il momento basso come, ad esempio, Stefano Bonaccini, il quale ha precisato che presenterà la sua candidatura “solo se utile” e precisato che si deve parlare con i Cinque Stelle di Conte. Traduzione: mi candido se mi appoggiate e se mi date già ora mandato di trovare una nuova maggioranza. Romano Prodi, vecchio boiardo DC, si atteggia a vecchio saggio e parla di basi ideologiche e programmatiche ma precisa che non appoggerà nessuno.

I candidati? Elly Schleyn, la vicepresidente di Bonaccini oppure Paola De Micheli, già ministro e della quale le cronache riferiscono di un passato da Bersaniana e lettiana per poi schierarsi con Zingaretti? O il sindaco di Firenze Dario Nardella che, chissà, forse spera di ripercorrere il cammino di Matteo Renzi?

Ricordiamo che alla segreteria del PD prima di Letta si erano succeduti Bersani, Renzi, Epifani, Bersani e Veltroni. Non parliamo di statisti come Churchill, Kennedy, Margareth Thatcher o Angela Merkel, ma sicuramente politici quantomeno più avvezzi a giochi di partito e, nessuno di loro, si noti bene, ha vinto una tornata elettorale salvo Bersani che si pone forse come l’eccezione che, peraltro, conferma la regola che il PD non è fatto per governare. Dopo la risicata vittoria del 2013 come candidato premier rimise il proprio mandato per formare il governo e si succedettero Letta, Renzi e Gentiloni. Il pericolo del fuoco amico sembra essere sempre stato sottovalutato.

Unico candidato del centrosinistra, nelle sue tante sfaccettature e diverse forme, a ottenere una maggioranza che lo portò al Governo, fu Prodi nel 2006 e la sua caduta avvenne grazie a rifondazione comunista.

Dallo scioglimento del PCI, nel quale alcuni vorrebbero vedere le radici dell’attuale sinistra, siamo ben lontani dal vedere una formazione che raccolga le istanze di una determinata fascia elettorale che, originariamente (ma molto alle origini) era quella del “Gran partito dei lavoratori” cantato nell’Internazionale.

Il PCI, dopo la caduta del Muro di Berlino e la perdita dell’appoggio e del finanziamento dell’Unione Sovietica, non aveva più ragione di essere e cercò con il cambio di nome, con Occhetto, di mantenere l’unità granitica che lo contraddistingueva. Non fu così e ad ogni cambiamento si è accompagnata una scissione o lo sfilamento di una costola. Prima i comunisti di Cossutta, poi da quella formazione sono nati l’Ulivo, la formazione di Vendola e quella di Marco Rizzo fino a quelle attuali di Renzi e Calenda.

L’attuale formazione sconfitta alle ultime elezioni sembra che abbia tenuto a Milano tra i laureati nelle zone del centro. Non proprio le fasce popolari che vorrebbe rappresentare. Sicuramente la società è cambiata, l’economia che dette l’impulso alle ideologie marxiste era basata sul Capitale inteso come sistema basato su “terra, capitale e lavoro”, oggi sostituito da “tecnologia, accesso al credito e informazioni.” Lo avranno capito gli aspiranti leader delle sinistre?

Possiamo provare a raccontarglielo con una storia che suona più o meno “C’era una volta la Casa del Popolo, dove si riunivano i simpatizzanti di un certo partito e tutti la pensavano più o meno in un certo modo e seguivano le indicazioni e la leadership di quel partito. E i simpatizzanti portavano altri simpatizzanti e c’erano feste, cene, balli popolari e tanto ancora. Adesso non c’è più niente di tutto ciò, tranne voler parlare degli stessi nemici di allora per cercare di trovare consenso.”

Ma come non esiste più quel tempo, anche i contendenti sono cambiati. Ma da Occhetto a Letta non lo hanno ancora capito.

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