Cronache dai Palazzi
“Gives reforms in Rome a chance”, titola il Financial Times alludendo al processo di riforme avviato da Matteo Renzi all’interno dei Palazzi romani. Un cambiamento in effetti sembra finalmente possibile, anche a proposito di legge elettorale. Finora “la litigiosa coalizione al governo guidata da Enrico Letta ha fallito nel portare l’Italia sul sentiero di una significativa riforma politica. Ma l’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd ha riacceso nuove speranze per una riforma”. In un editoriale dal titolo “Diamo una possibilità alle riforme in Italia (a Roma)” il Financial Times elogia quindi il neosegretario del Pd e definisce l’accordo con Berlusconi – “il politico italiano meno affidabile” – “un male necessario”.
In sostanza Renzi “non aveva altra opzione” dato che “gli altri partiti hanno mostrato scarso interesse nell’approvare una legge elettorale che garantisca maggioranze praticabili”. L’autorevole quotidiano economico consiglia comunque “al solitamente impetuoso” Matteo Renzi di usare “toni più concilianti” per evitare una rottura/scissione all’interno del suo partito “che potrebbe indebolire la sua aspirazione di diventare il prossimo premier”.
L’intesa Renzi-Berlusconi si è estesa al Nuovo Centrodestra di Alfano e il cosiddetto “Italicum” si presenterà in Parlamento con due giorni di ritardo, non più il 27 ma il 29 gennaio, ma si voterà solo tra il 30 e il 31 gennaio. “Abbiamo condiviso un impianto complessivo di legge elettorale” – afferma Schifani di Ncd – ma ciò non vuol dire che il Nuovo Centrodestra abbia condiviso tutto. Per il partito di Alfano il principale errore di Renzi rimane inoltre il non aver costituito un accordo preventivo sulla legge elettorale all’interno della maggioranza di governo.
In Aula e in Commissione il confronto si preannuncia tutt’altro che pacato. Soglia del premio di maggioranza, preferenze e soglie di sbarramento sono le questioni più spinose. Secondo l’Italicum uscito dalle stanze extraparlamentari il premio di maggioranza che non superi il 18% scatterebbe se una lista o una coalizione raggiunge il 35%, anche se l’alleanza vincente non potrà superare, con il premio, il 55% dei seggi. Qualora non venga raggiunta la soglia entrerebbe in gioco il ballottaggio tra le prime due liste. È stato messo nero su bianco, inoltre, l’obbligo del 50% di candidate donne e sono state vietate le candidature multiple. Le liste saranno di nuovo bloccate seppur “corte”, con un minimo di tre e un massimo di sei concorrenti; in pratica ogni lista non può essere formata da un numero di candidati maggiore dei seggi assegnati ad ogni collegio plurinominale. Per la Camera il testo base dell’Italicum prevede la distribuzione dei seggi a livello nazionale: piccole circoscrizioni simili a collegi plurinominali e la possibilità di un doppio turno. Al secondo turno non sono infine consentiti ulteriori apparentamenti tra liste e coalizioni. Per il Senato, se prima non verrà riformato, le regole sono le stesse ma a differenza del vecchio Porcellum il premio di maggioranza sarà assegnato a livello nazionale e non più regionale.
La minoranza dem, in particolare, ha chiesto di introdurre o i collegi uninominali o le doppie preferenze o le primarie obbligatorie per legge. La soglia da cui scatta il premio di maggioranza dovrebbe invece essere portata al 40%, mentre le soglie di sbarramento al 5% per i partiti coalizzati e all’8% dei partiti non coalizzati andrebbero abbassate, rispettivamente, al 4% e al 6-5%. Sarebbe questa la road map indicati dai deputati non renziani. Anche per Scelta Civica il premio di maggioranza concesso al 35% “rischia di essere incostituzionale”, e i centristi chiedono anche loro che sia istituita una soglia più alta. “Se si alza la soglia per ottenere il premio di maggioranza – dichiara Stefania Giannini – noi siamo pronti a votare sì al testo presentato da Pd, Forza Italia e Ncd”. Scelta Civica afferma di volere “che ci sia garanzia di governabilità e di democrazia”.
L’aria che si respira all’interno del Pd è comunque un’aria di sfida e non tutti sono pronti a sposare l’intraprendenza del neosegretario, seppur ammirevole. D’Attorre è convinto di vincere la battaglia sulle preferenze così come è stato ottenuto il doppio turno. A proposito di preferenze, Quagliariello di Ncd afferma che il suo partito si impegnerà “per assicurare agli elettori il diritto di scegliere i propri rappresentanti e non solo di identificarli attraverso listini bloccati”.
Nel frattempo slitta la firma del “Patto di coalizione” che il premier auspicava di chiudere entro questa settimana. Palazzo Chigi considera una priorità il dibattito sulla legge elettorale perché un governo più forte dipende anche dalla riforma del sistema di voto. Enrico Letta considera infatti “assolutamente positiva” l’iniziativa del segretario dem sulla legge elettorale, ma dichiara di non condividere le liste bloccate: “Il governo in questa vicenda non entrerà, ma bisogna rendere i cittadini più partecipi della scelta dei parlamentari”.
La pace fredda tra Letta e Renzi si è concretizzata in pratica in diretta tv. Renzi intervistato da Bianca Berlinguer al Tg3 ha ribadito di non voler mettere in difficoltà l’esecutivo. “Io a Palazzo Chigi? Non sono qui per occupare una poltrona, ma per dare una mano – ha sottolineato il sindaco di Firenze – il governo è il governo Letta e io faccio un altro mestiere”. Per Renzi l’esecutivo deve però “darsi un bello sprint” ed evitare i provvedimenti “in politichese”. In pratica “Letta ce la può fare, ma il governo deve andare avanti come un treno”.
Nonostante i “caratteri diversi”, il premier Enrico Letta – rispondendo a Lilli Gruber su La7 – assicura che il suo rapporto con Renzi “sarà legato agli obiettivi”, e rispetto all’ipotesi di un Renzi1 afferma: “L’ha smentita lui stesso”.
I problemi del Paese al primo posto, quindi, anche se la voglia di replicare al sindaco fiorentino traspare chiaramente dalla faccia del premier che, con un sorriso quasi rassegnato, giudica “normale” la “dialettica politica” in corso e assicurando che “non c’è nessun sacrificio in tutto questo” è convinto che la cosa più importante sia “continuare l’opera di risanamento del Paese”.
Il premier procede a stilare un elenco minuzioso di “fatti” con i quali rigettare le accuse di immobilismo o addirittura di eventuali “fallimenti” addebitati al suo governo. Anche se nei sondaggi prevalgono i giudizi negativi, Letta sottolinea di aver abolito il finanziamento pubblico ai partiti, di aver fermato la recessione e di aver favorito la ripartenza del fatturato industriale. In arrivo inoltre un pacchetto di riforme senza precedenti – giustizia civile, rimpatrio dei capitali, antiriciclaggio, “lotta senza quartiere” alla mafia, piano carceri, riforme costituzionali e abrogazione delle provincie, – che caratterizzeranno “Impegno 2014”, il “Patto di coalizione” che il presidente del consiglio auspicava di chiudere prima della sua partenza per Bruxelles, ossia prima del 29 gennaio, ma la cui firma ora dovrà necessariamente aspettare che si concluda l’iter parlamentare della nuova legge elettorale. “Sul programma di governo si tratta dopo che la legge elettorale nuova è stata votata alla Camera”, sottolinea il leader del Pd che dovrebbe firmare il Patto di governo solo nel mese di febbraio.
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