Canone TV, non solo Italia
Come per l’IMU, l’imposta municipale sull’abitazione (ora IUC), cerchiamo di capire se anche un’altra imposta poco cara agli italiani sia presente in altri Paesi EU. Stiamo parlando del canone TV, in scadenza a fine mese, che, nonostante non sia aumentato d’importo (stabile da un anno a 113,50 euro), continua a suscitare malcontenti. Prima di procedere con il confronto vero e proprio, occorre illustrare iter e ratio della tassa per fare un po’ di chiarezza e capire fino a che punto è legittimo da parte dello Stato (e, indirettamente, della tv pubblica) richiederne il pagamento.
Il canone TV è stato introdotto il 21 febbraio 1938 in seguito all’approvazione del Regio Decreto Legge n. 246 in materia “Disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni” (con pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale in data 5 aprile 1938). Come recita la normativa originaria, che da allora non ha subito adeguamenti, “chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è soggetto al pagamento del canone di abbonamento”. Il canone è, quindi, legato al semplice possesso di un dispositivo abilitato alla ricezione dei programmi televisivi, indipendentemente dall’utilizzo che se ne fa e dal giudizio che si può avere nei confronti del servizio offerto (vedi la polemica sui cachet milionari di San Remo).
La Legge prevede due tipologie di canone: quello ordinario, che si riferisce all’ambito domestico-familiare, e quello speciale, quando la ricezione dei programmi televisivi avviene in esercizi commerciali quali bar o ristoranti. Con i proventi derivanti da tale imposta – che, ricordiamo, è obbligatorio pagare al di là di ogni più o meno ragionevole presa di posizione – la Rai dovrebbe garantire il pluralismo delle fonti (un diritto sancito dalla Costituzione italiana oltre che dai trattati costitutivi dell’Unione Europea) e aggiudicarsi con più facilità i diritti per la diffusione di eventi specifici quali appunto quelli sportivi. Nonostante la sua natura pubblica, parte delle entrate della Rai derivano dalla vendita di spazi pubblicitari. A garanzia del cittadino-spettatore, i limiti previsti in termini di sovraffollamento pubblicitario sono più stringenti rispetto a quelli cui sono soggetti le televisioni commerciali (Mediaset ad esempio). Di fatto, però, una fetta sempre più consistente di telespettatori lamenta un aumento nel numero d’interruzioni pubblicitarie.
Addentrandoci nel merito della nostra analisi, scopriamo che non siamo i soli a pagare il canone: esso costituisce la principale fonte di finanziamento del servizio pubblico nella maggior parte dei Paesi dell’Eurozona. La differenza è che, rispetto all’Italia, la tassa non è legata al mero possesso di TV o altro apparecchio abilitato alla ricezione di programmi audiovisivi, ma all’occupazione delle frequenze da parte di una data emittente. Considerando i dati Eurostat 2012-2013 sull’incidenza che il canone ha sul reddito annuo medio di un abitante, possiamo invece ritenerci fortunati: il nostro Paese chiude la classifica assieme alla Francia e ad altri Paesi dell’Europa Centrale. Per contro, fra i più tassati risultano i contribuenti dell’Europa del Nord (Norvegia, Danimarca e Finlandia) e della Svizzera, dove l’imposta ha un costo medio superiore a 300 euro, con un’incidenza sul reddito vicina all’1%.
Piccola curiosità. Nei giorni scorsi è circolata una notizia-bufala, che è diventata subito virale per aver cavalcato il malcontento generale. La news in questione faceva riferimento ad una sentenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo che giudicava illegittimo il tanto odiato orpello, invitando gli italiani a non corrispondere il tributo. In realtà, a scanso di equivoci, confermiamo che nel periodo compreso fra il 17 dicembre 2103 e il 7 gennaio 2014 la Corte dei Diritti dell’Uomo non ha depositato alcune sentenza afferente il canone, né tantomeno il quartier generale di Viale Mazzini ha parlato di un simile avvenimento.
Detto ciò, ricordiamo che, oltre alle categorie esenti per legge (tra le quali gli anziani over 75 che non superino una certa soglia di reddito), è possibile non pagare il canone Rai purché il contribuente dichiari di non possedere alcuna apparecchiatura atta alla ricezione delle trasmissioni audiovisive.
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