Il futuro della NATO

Quasi trent’anni fa, quando fui destinato alla NATO come Rappresentante Permanente d’Italia, non pochi consideravano l’Alleanza come uno strumento in disuso, una specie di relitto inutile della Guerra Fredda ormai finita. Vari amici, anche molto intelligenti, come Beniamino Andreatta, allora Ministro degli Esteri, e Giuliano Amato, Presidente del Consiglio, mi sconsigliavano di accettare, ritenendomi – bontà loro – sprecato. Amato aveva bloccato per varie sedute la mia nomina proposta dal predecessore di Andreatta, Emilio Colombo, insistendo perché io andassi all’UE. Dovetti personalmente pregarlo di lasciarmi andare e poi dovetti rifiutare altre offerte di Andreatta, che mi voleva a Londra.

Racconto tutto questo non per vanità personale, ma per descrivere quella che era allora una convinzione diffusa; e sbagliata. I cinque anni che ho passato alla NATO sono stati i più intensi e impegnati della mia lunga carriera. In quegli anni l’Alleanza ha riportato la pace in Bosnia, accolto nel suo seno Paesi che uscivano dal mondo socialista, stretto accordi con la Russia di Eltsin (che poi Putin ha abbandonato), difeso il Kossovo, lanciato il Partenariato per la Pace che avvicinò all’Alleanza Paesi lontanissimi, quali il Giappone e tanti altri. Insomma, fu il centro nevralgico della grande politica internazionale.

Nel nuovo secolo, la leggenda della obsolescenza è tornata insistente a diffondersi come una malattia infantile: l’hanno fatta propria lo sciagurato Donald Trump, e Macron ha definito la NATO in “morte cerebrale”. L’aggressione russa all’Ucraina è venuta puntualmente a smentire la leggenda. Di un tratto, si è capito che la solidarietà atlantica (siamo chiari: la presenza militare degli USA in Europa), è l’unica garanzia di sicurezza per gli europei e ora nessuno metterebbe più in discussione la necessità di mantenere un’Alleanza solida e forte. Questo è vero oggi e sarà vero nel futuro, in un mondo in cui i nemici dell’Occidente sono molti e aggressivi. Senza lo scudo degli Stati Uniti, saremmo tutti più deboli e quasi indifesi. Lo hanno capito anche Paesi tradizionalmente neutri come la Finlandia e la Svezia. Non so se lo abbiano capito gente come Salvini, Berlusconi e Conte, ma certo lo sa Giorgia Meloni.

Quest’anno scade il secondo mandato del Segretario Generale, Jens Stoltenberg e non credo abbia voglia di ricandidarsi. Non sarà facile sostituirlo, perché egli ha dato al suo ruolo un profilo politico e una centralità quasi inediti. Boris Johnson pare abbia manifestato il desiderio di essere eletto, ma non so quanto appoggio avrebbe in un settore dell’Alleanza e il suo carattere imprevedibile non lo rende, a mio avviso, adatto a un incarico che richiede coerenza e senso della misura. Mario Draghi sarebbe un Segretario Generale di lusso, ma non so se ne abbia voglia e forse andrebbe riservato come carta da giocare nella ripartizione dei posti europei il prossimo anno. Ma chiunque sia il nuovo SG, l’importante è che gli alleati, compresi i frondisti tipo Turchia, mantengano l’unità necessaria a sopravvivere in un mondo pericoloso.

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