Cronache dai Palazzi

Conto alla rovescia per non perdere i fondi del Pnrr. Nei prossimi giorni il governo dovrà decidere se concentrarsi sull’attuazione del Piano oppure se seguire l’onda delle polemiche tra chi nella maggioranza attribuisce i ritardi e gli errori ai governi precedenti, mirando a spostare le scadenze più avanti.

La Commissione europea, a sua volta, è disposta ad accettare modifiche al Pnrr presentate dal nostro Paese. “Anche altri Paesi lo stanno facendo”, dicono a Bruxelles, ma le modifiche dovranno essere inviate entro la fine di aprile. In sostanza dopo il confronto tra il governo e i vertici europei, la Commissione ha concesso all’Italia un altro mese di tempo. La Commissione Ue sta a sua volta elaborando le opportune valutazioni per quanto riguarda il raggiungimento degli obiettivi del Piano, relativi al primo trimestre del 2023. Eventuali modifiche dovranno comunque essere presentare entro il 30 aprile.

L’obiettivo di Palazzo Chigi è concentrare alcuni progetti sui Fondi di coesione, che possono coprire appalti e programmi entro il 2029. Il ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, ha proposto di recuperare alcune risorse destinate a progetti che non potranno essere realizzati entro il 2026. In definitiva il governo ha trenta giorni di tempo per decidere quali progetti incrementare e quali addirittura espellere dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. A differenza di altri Paesi le modifiche apportate dal governo italiano potrebbero risultare consistenti e dovrebbero interessare interi pezzi del Piano, la cui rimodulazione rappresenta il focus della partita. Una rimodulazione resa necessaria anche dall’aumento dei costi delle materie prime e dalla consapevolezza che molti progetti messi nero su bianco non potranno essere portati a termine entro il 2026. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza presentato dall’Italia prevede investimenti per 191,5 miliardi ai quali si aggiungono 30,6 miliardi del Fondo complementare. Entro il 2032 altri 26 miliardi di euro dovrebbero essere impiegati per realizzare opere specifiche e per il reintegro delle risorse del Fondo sviluppo e coesione. In definitiva il Piano si articola sulla base di tre assi strategici condivisi con i vertici Ue: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale.

Il Fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) è, insieme ai Fondi strutturali europei, lo strumento finanziario principale attraverso il quale attuare le politiche per la riduzione degli squilibri economici e sociali sul territorio nazionale. Ha valenza pluriennale, coerentemente all’articolazione temporale della programmazione dei Fondi strutturali dell’Unione europea. Il periodo di programmazione previsto è 2021-2027.

Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, escludendo il pericolo di ritardi cronici da parte dell’Italia, afferma che semplicemente “si sta discutendo con la Commissione europea di come fare le cose in modo realistico”. Per Matteo Salvini “l’Italia porterà a casa tutto quello che sarà possibile”.

Di fatto, di fronte all’aumentare dei progetti da mettere in atto e in cantiere, la Pubblica amministrazione appare una macchina in affanno. Solo dal mese scorso è in vigore il decreto Draghi 2021 per ampliare gli uffici tecnici dei Comuni. Approvato dal governo Draghi, per l’appunto nel 2021, il decreto è arrivato in Gazzetta ufficiale solo lo scorso mese. Tale decreto stanzia 30 milioni di euro per rafforzare la capacità degli enti locali, in particolar modo le risorse umane che siano in grado di eseguire i progetti del Pnrr. Si prevedevano 15 mila assunzioni ma a fine dicembre 2022 ne risultavano appena 2.500. I 40 mila euro che il Piano Ue riserva agli enti territoriali devono attraversare circa 6 mila “soggetti attuatori”, mentre i Comuni impegnati sono circa 5.700. Alla complessità del Piano e delle opere che lo compongono si aggiunge quindi anche una burocrazia piuttosto ingombrante e farraginosa, ciò che è oggetto di dibattito pubblico in questi giorni a proposito di appalti, subappalti e regole opportune da far rispettare.

Per quanto riguarda le opere ferroviarie, ad esempio, vi soni appalti per circa 30 miliardi: dalla Napoli-Bari alla Palermo-Catania; da alcuni tratti della Salerno-Reggio Calabria fino alla Roma-Pescara. Si tratta di opere strategiche che forse non sono nemmeno in ritardo ma molto probabilmente sono costellate di punti interrogativi, come forse ogni grande opera pubblica che occorre realizzare nel nostro Paese.

I Comuni, a loro volta, si sganciano dalle polemiche e da eventuali attacchi sui ritardi. “Sui ritardi del Pnrr i Comuni non hanno alcuna responsabilità, perché la fase di messa a terra delle risorse sta per iniziare; se i ritardi si sono registrati, essi sono imputabili ai ministeri che intermediano le risorse di cui i Comuni sono beneficiari”, ammonisce il segretario generale dell’Anci, Veronica Nicotra.

In questo contesto, con il nuovo Codice degli appalti il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, sembra aver voluto lanciare un segnale di lotta proprio alla burocrazia, rilanciando nel contempo il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, un obiettivo che il ministro Salvini considera senza dubbio strategico. Sono 229 gli articoli del nuovo Codice degli appalti voluto dal ministro delle Infrastrutture e approvato martedì in Cdm. Entrerà in vigore da sabato primo aprile mentre dal primo luglio verrà abrogato il testo precedente introdotto con un decreto legislativo del 2016. Il nuovo Codice degli appalti favorisce la semplificazione e l’innalzamento delle soglie al di sotto delle quali le amministrazioni pubbliche possono affidare gli appalti senza una gara. “Farle le opere, farle bene e farle in tempi accettabili”, afferma a sua volta il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, rimarcando la necessità di “meno burocrazia”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il vicepremier Salvini: “L’Italia ha bisogno di infrastrutture, di meno burocrazia, di più lavoro, di appalti più veloci e mi dispiace per i signori del no, ma in questo ministero mi hanno mandato per aprire cantieri, strade, autostrade, porti, aeroporti e ferrovie”. Salvini dichiara ai microfoni del Tg1 ponendosi per l’appunto come “l’uomo del fare” contro “i professionisti del no, i no tav, i no ponte, i no Expo, i no pendemontani, i no gas, i no nucleare, i lavoro per i sì”, sottolinea Salvini.

A proposito di eventuali subappalti “il governo aveva le mani legate dalla giurisprudenza comunitaria che ammette che il subappaltante possa a sua volta subappaltare”, afferma il presidente dell’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), Giuseppe Busia, il quale spiega: “Proprio per questo, occorre accrescere la trasparenza e prevedere la responsabilità solidale lungo tutta la catena. Noi faremo la nostra parte con la digitalizzazione delle procedure e il fascicolo elettronico che consentirà di controllare, per esempio, i contratti applicati ed evitare il dumping sociale. Questi sono aspetti positivi della riforma, così come il rafforzamento dei poteri dell’Anac”, sottolinea il presidente Busia.

La premier Meloni si è inoltre recata al Quirinale per riferire al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non solo delle ultime vicende relative al Pnrr e al Codice degli appalti, ma anche dei risultati del Consiglio europeo della scorsa settimana. Un colloquio definito “cordiale” e “collaborativo” da Palazzo Chigi, in cui si è tra l’altro parlato anche di urgenze e di questioni molto pratiche come le bollette; il capo dello Stato ha firmato il secondo decreto bollette giovedì 30 marzo.

L’appuntamento con il capo dello Stato era in agenda, assicurano da Palazzo Chigi. Di certo esso cade in un momento molto impegnativo da parte del governo che a breve dovrebbe risolvere anche la questione delle nomine e che negli ultimi giorni si è scontrato duramente con l’Anac per le soglie degli appalti, e con le opposizioni per “lo scudo penale” e per i ritardi sul Pnrr. Per quanto riguarda i reati fiscali, infine, questo governo non prevede alcun condono, “questo governo non li fa”, ha affermato la premier.

Sui vari temi il presidente Mattarella ha chiesto chiarimenti e approfondimenti. Ricordiamo la posizione ferma e solida del capo dello Stato a proposito del Pnrr, di mettersi tutti “alla stanga” per favorire la ricostruzione del Paese. In questo contesto i vari tentativi di negoziato con l’Unione europea rischiano di diventare farraginosi e, in quanto tali, sono da tenere sotto controllo. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza costruito su due fondamenta, “riforme e investimenti”, non può essere mancato. Come ha affermato il commissario europeo agli Affari economici, Paolo Gentiloni, “è che la sfida per attuare un piano di queste dimensioni è una sfida per le nostre capacità tradizionali di assorbimento della spesa molto seria, nessuno può ignorare le difficoltà di questo assorbimento e di attuazione, e tutti dobbiamo concentrarci nello sforzo di superarle”. Come spiega Gentiloni la Commissione europea si trova “nella fase della valutazione del rispetto degli obiettivi e dei target legati alla terza richiesta di pagamenti, stiamo lavorando insieme al governo e continueremo per approfondire alcune misure”, ha sottolineato il commissario Ue.

La relazione della premier Meloni al capo dello Stato – i cui interventi avvengono sempre nei modi e nei tempi giusti – si è infine estesa ai costi dell’energia, al Codice degli appalti, al tema dei migranti (sul cui tema al Senato vi sono una ventina di emendamenti della Lega che chiede un intervento ancora più deciso a proposito di protezione speciale), ai rapporti con Bruxelles sui vari dossier e, infine, la nutrita agenda internazionale dei prossimi giorni: dal prossimo G7 alla bilaterale di Londra di fine aprile; l’incontro con il premier spagnolo, Pedro Sánchez, il 5 aprile a Roma e il viaggio di inizio giugno negli Stati Uniti.

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