WhatsApp e il piacere dell’attesa
Facciamo i nostri più sinceri complimenti a chi ha creato la traccia su WhatsApp per il tema della maturità di quest’anno. È un argomento non solo attuale, ma è proprio l’approccio scelto dall’estensore del titolo a indurre riflessioni che vanno ben oltre il possibile valore didattico dell’argomento. È qualcosa che tocca e ha sconvolto la vita di tutti noi. Forse, più dei social, che toccano le relazioni, WhatsApp ha cambiato il modo di comunicare dell’umanità. Certo, lo ha fatto insieme ai vari Telegram, Signal e altri. Ma è il più importante ed un punto di riferimento.
Il sistema di messaggistica più usato al mondo vede la luce nel 2009 e, solo cinque anni dopo, nel 2014, Mark Zuckerberg decide di acquistarlo alla non proprio modica cifra di diciannove miliardi di dollari.
Su WhatsApp circolano circa cento miliardi di messaggi al giorno in tutto il mondo. Quando la piattaforma subisce un down gli utenti sono nel panico e manifestano quelle fobie, nate insieme ad internet ed ai social, di essere esclusi da chat, gruppi, conversazioni. Su WhatsApp abbiamo imparato ad inviare immagini, video ed anche documenti personali provati con buona pace della rivendicata e mai tutelata privacy. Tutti dati che passano nella disponibilità dello stesso proprietario di Facebook e Instagram. Un patrimonio immenso di elementi da profilare per creare e veicolare contenuti mirati, specialmente pubblicitari. Forse non arrivano direttamente con una spunta blu, ma arrivano. O credete che sia realmente gratis?
Basterebbero queste osservazioni banali ma sulle quali raramente ci soffermiamo per comprendere quanto il fenomeno WhatsApp sia pervasivo per l’intera umanità. Ma nel nostro piccolo dovremmo fermarci a riflettere dell’uso che ne viene fatto e come lo subiamo con conseguenze che toccano il nostro comportamento.
Quel buongiorno che riceviamo da una persona cara è solo per me o è inviato in automatico all’intera rubrica? Il selfie delle vacanze di un amico è scattato solo per me o lo troveremo anche nei gruppi amici del calcetto e mamme della terza B? La foto intima che la ragazza manda al fidanzatino sarà gelosamente custodita o esibita nei gruppi di amici come ennesima conquista?
Alcuni medici o laboratori di analisi lo usano per inviare ricette e referti; per i tribunali un messaggio WhatsApp è considerato valido per licenziare un lavoratore e, sempre nei tribunali, screenshot di conversazioni e audio sono sia prove di reati sia possibili elementi costitutivi di reato.
Ma, e questo è il nocciolo del tema lanciato ai maturandi 2023, WhatsApp ha definitamente ucciso la nostra tolleranza verso l’attesa. Quando le famigerate spunte blu ci dicono che il nostro messaggio è stato letto, tutti ci aspettiamo una risposta immediata; anche solo la reazione ad una foto. Anche quando il messaggio è inviato ad una serie indefinita di sconosciuti o in un gruppo.
Una volta esistevano le lettere e le cartoline. Si sceglieva un’immagine o una carta colorata su cui scrivere pensando a chi riceveva quel pensiero unico; si aspettava trepidanti il portalettere sapendo che aveva qualcosa che il mittente aveva pensato solo ed esclusivamente per noi. Non eravamo angosciati se qualcuno non rispondeva immediatamente ad un dove sei o che cosa fai.
È giusto che il mondo vada avanti tenendo il passo rapido e incessante del progresso, alla velocità dell’ultima connessione che ci permette di fare una videocall con il nostro cliente in Cina, il consulente di New York, lo zio in Australia.
Pensare che solo venti anni fa esistevano ancora le cabine telefoniche, dove si poteva entrare solo dopo essersi procurati una scheda o un numero sufficiente di monete, per non parlare dei gettoni della SIP, ci fa comprendere come è volato via troppo velocemente questo tempo e, purtroppo, come ci siamo persi il piacere dell’attesa di qualcosa di bello.
Tutto e subito, in attesa della prossima notifica del gruppo per l’aperitivo di questa sera.
©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione