Cronache dai Palazzi

L’Italia è l’unico Paese europeo che non ha ancora ratificato le modifiche allo statuto del Fondo salva Stati, meccanismo creato per prestare soccorso finanziario ai Paesi in default. La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha ribadito a chiare lettere il proprio ‘no’ al Mes “perché non è il momento e non è nell’ interesse nazionale”, ha affermato la premier in Aula a Montecitorio, ripetendolo poi anche a Palazzo Madama, e aggiungendo: “Me ne assumo io la responsabilità”.

Alla vigilia del Consiglio europeo, la premier ha inoltre illustrato i temi che sono stati oggetto di discussione in sede europea a Bruxelles, rendendo nel contempo nota la posizione del governo.

“Non avrei mai accettato di essere pagata per trasformare l’Italia nel campo profughi d’Europa”, ha sottolineato Meloni. A Bruxelles è stato chiesto e ottenuto “che le risorse vadano ad alimentare un fondo per difendere i confini esteri, non per gestire l’immigrazione illegale ma per contrastarla”. In sostanza “’l’Europa, oggi, riconosce finalmente che la stabilità dei Paesi del Nord Africa è anche un problema del nostro continente”. In questo contesto occorre anche ritarare le regole Dublino che possono essere considerate ormai “superate”. Tali regole “per nazioni come la nostra che difendono i confini esterni dell’Unione europea diventano addirittura potenzialmente rischiose, perché ci espongono a flussi illegali crescenti, con il portato di tragedie che continuiamo a vedere nel Mediterraneo”, ha puntualizzato la premier Meloni. L’obiettivo è rendere le responsabilità dei Paesi di primo ingresso “più sostenibili”, in grado di valorizzare “il concetto di Paese terzo sicuro”, prevedendo “un meccanismo di solidarietà permanente e vincolante, pur con elementi di flessibilità nei suoi contenuti”.

Durante il tradizionale pranzo al Quirinale a ridosso del Consiglio europeo, con i diversi ministri competenti sui dossier, la premier ha ribadito le questioni economiche legate alla governance dell’Ue e al Mes che arriverà in Aula il 6 luglio:

“Io sul merito del Mes non ho cambiato idea”, e comunque riguardo al passaggio in Aula si tratta di “un tema di metodo: bisogna capire se questo sia il momento, per il Parlamento, di discutere questa materia. Ha senso che procediamo a una ratifica senza contesto, senza sapere quale sarà la governance?”

La premier ha inoltre spiegato “l’approccio a pacchetto, nel quale le regole del Patto di Stabilità, il completamento dell’unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutono nel loro complesso”, con l’unico obiettivo di “fare l’interesse nazionale”. In sostanza per Meloni il Mes potrebbe rappresentare uno strumento negoziale da utilizzare al momento opportuno. In sede europea, inoltre, “non c’è la stessa attenzione che c’è nel dibattito italiano”, ha affermato Meloni rispondendo ai giornalisti durante un punto stampa a Bruxelles.

Per quanto riguarda il Pnrr, invece, la premier nega eventuali ritardi e poi “lo abbiamo ereditato”, ha sottolineato la premier riferendosi all’amministrazione precedente. Il governo continua a “lavorare” e non sembrano esserci impedimenti per la terza rata in funzione degli obiettivi raggiunti entro il 2022. Per una valutazione preliminare, Palazzo Chigi ha trasmesso a Bruxelles una lista degli investimenti che dovrebbero confluire nel Repower-Eu, il fondo destinato a finanziare la transizione energetica che prenderà corpo con la riprogrammazione degli interventi del Piano. Progetti che dopo essere stati verificati dalla Commissione europea verranno vagliati dal governo entro agosto, contestualmente alla revisione del Pnrr nazionale. È prevista anche una quarta rata di finanziamenti per i risultati raggiunti entro giugno 2023. Sono tre i fronti sui quali sta lavorando il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto, insieme all’intera squadra dell’esecutivo: il Pnrr, i fondi europei di coesione e il Fondo nazionale complementare al Pnrr da 30 miliardi. Fino ad ora il nostro Paese ha ricevuto 67 dei 197,5 miliardi di euro che le sono stati accordati per il Pnrr tra prefinanziamento, prima e seconda rata.

Via XX Settembre ha nel frattempo chiesto a tutte le amministrazioni pubbliche di aggiornare i cronoprogrammi “procedurali”, in quanto è necessario “assicurare il rispetto del cronoprogramma finanziario”. Lo stesso Pnrr prevede l’incremento della capacità di spesa del Fondo il cui programma di spesa corrisponde a 3,8 miliardi di euro nel 2023, un obiettivo non facile da raggiungere per cui è auspicabile la riprogrammazione di diversi interventi. Sarebbero 63 le riforme che prevedono delle misure da attuare in virtù del Pnrr per potenziare equità, efficienza e competitività.

Nonostante le proteste di Polonia e Ungheria Meloni definisce inoltre l’accordo sui migranti “un buon compromesso” pur comprendendo le ragioni di coloro che protestano. Il tema Tunisia, in particolare, deve essere presente nel pacchetto relazioni esterne affinché, a fronte di aiuti economici, il governo tunisino collabori nell’impedire gli sbarchi. La Germania chiede comunque rassicurazioni sulla questione dei diritti umani e alcuni Paesi Ue vorrebbero vincolare l’accordo con la Tunisia all’intesa con il Fmi.

In sede europea la performance assume altri toni rispetto all’intervento all’interno del Parlamento italiano, di fronte al quale Meloni ha espresso il proprio disappunto riguardo al Mes, sul Pnrr e sull’ipotetico doppio registro della Commissione che avrebbe adottato un comportamento diverso nei confronti del governo Draghi.

All’interno degli Europa Building sembra tutto più equilibrato, per cui la premier Meloni afferma: “Per noi le conclusioni del Consiglio sono un’ottima base di partenza. Su migrazione, Tunisia, flessibilità, nell’utilizzo dei fondi per quello che riguarda le materie economiche, sui primi passi per un Fondo sovrano europeo, ci sono le posizioni italiane”.

Per quanto riguarda la questione migrazioni, Meloni mette in evidenza gli “enormi passi in avanti” rispetto a 8 mesi fa. “Siamo davvero riusciti a cambiare il punto di vista superando l’annosa divisione tra Paesi di primo approdo e secondari”, ha affermato Meloni, puntualizzando: “Abbiamo cambiato la narrazione dell’Ue in otto mesi, le conclusioni di oggi erano impensabili” quando questo governo è approdato a Palazzo Chigi.

Nello specifico, i dodici miliardi in più annunciati dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per la migrazione nel contesto di revisione di bilancio “sono un buon punto di partenza soprattutto se quelle risorse si concentrano sul Mediterraneo”. La predisposizione e la gestione di “fondi per la migrazione e la cooperazione con i Paesi terzi è un punto strategico”. È essenziale capire che “per risolvere questo problema abbiamo bisogno di soldi che non devono essere spesi solo a livello di sicurezza. Abbiamo bisogno di cooperazione” con i Paesi africani, ha ribadito Meloni.

“L’investimento nella stabilità economica dei Paesi di origine è il modo migliore per assicurarsi che ci sia una migrazione legale e sicura”, ha a sua volta affermato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aggiungendo: “Dobbiamo guardare a tutte le possibilità che abbiamo per combattere i trafficanti. Abbiamo visto con le tragedie nel Mediterraneo quanto operino in modo cinico e il nostro obiettivo principale è fermare questo crimine organizzato”. Occorre in sostanza lavorare sulla dimensione esterna, in particolar modo, anche perché per quanto riguarda la dimensione interna ogni Stato membro ha le proprie priorità e quindi non è semplice raggiungere l’unanimità. “Presenterò tre report sul rafforzamento delle frontiere esterne – ha spiegato la presidente von der Leyen – così che ovunque nell’Ue abbiamo una gestione simile delle frontiere esterne; il secondo sulla nostra lotta al traffico; e il terzo sui nostri investimenti nella stabilità economica dei Paesi d’origine perché questa è la miglior strada per avere le connessioni tra le persone e per far sì che ci sia una migrazione legale, sicura e qualificata e anche per combattere i trafficanti”.

In definitiva “il patto sui migranti è approvato”, ha dichiarato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, nonostante il veto di Polonia e Ungheria che mirano a difendere i propri interessi nazionali. La questione degli accordi con i Paesi del Nord Africa, inoltre, è una questione che riguarda l’intera Unione e deve essere affrontata quindi in sede europea, e a riguardo c’è “un consenso unanime, a 27”, ha affermato Meloni da Bruxelles. Il premier polacco Mateusz Morawiecki ha comunque sottolineato l’“ottimo” rapporto” con Meloni anche se ha chiesto che sulla migrazione si decida all’unanimità, così come si è impegnato a fare il Consiglio europeo in passato, e non a maggioranza. Morawiecki ha a sua volta avanzato il proprio piano “per le frontiere sicure” che corrisponde a un “no” praticamente su tutto, compresa l’imposizione di sanzioni per chi non accetta di aiutare i Paesi di primo ingresso. In questo contesto Varsavia ha inoltre sottolineato i tre milioni di rifugiati accolti.

“Siamo riusciti a cambiare il punto di vista anche col contributo di altre nazioni”, ha comunque sottolineato la premier Meloni osservando la situazione con ottimismo e sottolineando che “dall’annosa divisione tra Paesi di primo approdo e Paesi di movimenti secondari” si è giunti “a un approccio unico che risolve i problemi di tutti: la dimensione esterna”. Nel suo intervento al pre-summit dei popolari il vicepremier Antonio Tajani ha a sua volta affermato che “il Ppe è stato fondamentale per l’accordo politico sul nuovo Patto”.

A proposito del Mes, infine, intervenendo alla commissione Problemi economici del Parlamento Ue, il presidente dell’Eurogruppo, Paschal Donohoe, ha chiarito di “rispettare e capire il punto di vista del governo italiano” che non vuole ratificare il Meccanismo ma ha invitato Roma a farlo per permettere che le nuove funzioni “possano essere disponibili per altri governi dell’Eurozona”.

La vera partita sui dossier economici si giocherà comunque in autunno quando la riforma del Patto di stabilità entrerà nel vivo e occorrerà inoltre affrontare la revisione del bilancio dell’Ue 2021-2027, per cui i governi degli Stati membri dovrebbero mettere a disposizione circa 66 miliardi per finanziare le priorità politiche dell’Unione. Il Consiglio europeo di dicembre sarà decisivo a riguardo mentre in questo frangente le priorità sono altre, tra cui anche il sostegno indiscusso all’Ucraina, per cui il Consiglio europeo ha ribadito la necessità per l’Ue e per i suoi Stati membri di contribuire ai futuri “impegni di sicurezza” di Kiev, ed infine individuare un approccio comune per quanto riguarda le relazioni con la Cina all’insegna di “una relazione stabile e costruttiva basata sulla reciprocità economica, riducendo al contempo le vulnerabilità. L’Ue promuoverà sempre i propri valori e interessi e continuerà a impegnarsi con la Cina per affrontare le sfide globali”, ha affermato il presidente del Consiglio europeo Michel. Il Consiglio Ue ha a sua volta ribadito “l’approccio politico poliedrico nei confronti della Cina, di cui è contemporaneamente partner, concorrente e rivale sistemico”. L’Unione europea continuerà a “ridurre le dipendenze e le vulnerabilità critiche, anche nelle catene di approvvigionamento, a ridurre i rischi e a diversificare dove necessario e appropriato”. L’Ue non intende comunque “ripiegarsi su se stessa”, e cercherà di garantire “condizioni di parità” in modo tale che le relazioni commerciali ed economiche siano equilibrate e reciprocamente vantaggiose.

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