BRICS, pericolo per l’Occidente?
Nel 2001, Goldman Sachs individuò per la prima volta un gruppetto di Paesi che avendo, come denominatore comune, grandi risorse di materie prime, un’economia in fase espansiva, manodopera a basso costo e una discreta capacità di innovazione tecnologica, potevano essere molto interessanti per i loro investitori esteri. Questi Paesi erano Brasile, Russia, India e Cina a cui si aggiunse successivamente il Sudafrica, da cui l’acronimo BRICS.
Perché sono finiti sotto i riflettori? È accaduto che nel vertice del 24 agosto, a Johannesburg, si è andati molto oltre le aspettative. Infatti, nel corso dell’incontro, è stato ufficializzato, grazie all’abile strategia cinese, un vero e proprio invito ad Argentina, Egitto, Iran, Etiopia, Arabia Saudita ed Emirati ad entrare nel gruppo in tempi decisamente brevi. La conseguenza di questo salto in avanti è che le potenzialità del gruppo iniziale si moltiplicherebbero, sino a trasformare i BRICS in un ampio polo di aggregazione con un peso specifico pari al 45% della popolazione mondiale ed al 35% del PIL mondiale. Per avere un riferimento, attualmente il G7 rappresenta meno del 10% della popolazione mondiale e meno del 30% del PIL globale.
Ma esiste davvero un pericolo BRICS in chiave antioccidentale? Non c’è dubbio che con questi numeri il gruppo dei BRICS+, intendendo con questa formula il gruppo iniziale più i nuovi arrivi, non debba assolutamente essere trascurato. Tuttavia, esistono almeno due motivi che impediranno che i BRICS+ si trasformino in antagonisti-estremisti del G7, dell’Unione Europea e degli USA. Innanzitutto, si tratta di un gruppo estremamente disomogeneo dal punto di vista economico considerando che si spazia dall’Argentina, sempre sull’orlo del default, a paesi economicamente solidi come Cina, Arabia ed India. Ma, anche dal punto di vista della politica estera, tra i BRICS+ convivono sia i nemici giurati degli Stati Uniti, come Russia, Cina ed Iran, sia Paesi in ottimi rapporti commerciali con gli USA, come Arabia e l’India.
In secondo luogo, si tratta di paesi storicamente guardinghi e sospettosi l’uno dell’altro: basterà pensare ai rapporti fra Arabia ed Iran che da sempre si contendono la supremazia in Medioriente, o ai rapporti fra India e Cina, dove l’India è uno dei migliori alleati degli Stati Uniti per contenere l’espansionismo commerciale cinese.
In conclusione, nel medio-lungo periodo, i BRICS aumenteranno sicuramente il loro peso e la loro forza contrattuale sullo scenario mondiale. Ciò grazie a legami commerciali più intensi, al rafforzamento dei collegamenti fra le loro banche e ad una maggiore cooperazione tecnologica. E, sicuramente, attireranno nella loro orbita tutta una serie di Paesi minori in via di sviluppo. Ma parlare oggi di un nuovo ordine mondiale post-capitalista, di un nuovo sistema di scambi commerciali sganciato dal dollaro e di una nuova moneta comune appare solamente un mero esercizio di fantasia.
[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al Master in Scienze economiche e bancarie europee LUISS Guido Carli]
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