DDL premierato, cosa cambierebbe

Abbiamo già fatto alcune considerazioni sulla proposta di riforma costituzionale avanzata dal Governo Meloni che ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’autorizzazione ad essere presentata alle Camere. Vediamo ora come cambierebbe la Costituzione e quali effetti avrebbe la riforma se passasse così come è stata presentata.

Articolo 59 – “È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica”.

Con la modifica di questo articolo non vengono aboliti i senatori a vita tout-court, ma eliminata la possibilità da parte del Presidente della Repubblica di nominarli in autonomia. Appare chiara l’intenzione di evitare il ripetersi di un caso come la nomina di Mario Monti a senatore a vita e quindi rafforzare la volontà del centro-destra di evitare in ogni modo eventuali governi tecnici. Chiaramente il paese deve essere guidato da un governo politico, ma nei casi di urgenza come la crisi dello spread a 500, la pandemia, il governo Draghi, è forse pensabile andare a elezioni e fare sprofondare il paese in una drammatica crisi di fiducia a livello internazionale? È utile eliminare alla base la possibilità di intervenire in via eccezionale con un governo tecnico?

Articolo 88 – “Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura”.

Con la modifica introdotta, il Presidente della Repubblica può sciogliere il Parlamento solo nella sua interezza. Questa modifica appare totalmente irrilevante, esistono tre precedenti (nel 1953, nel 1958 e nel 1963) in cui una sola camera è stata sciolta, e solamente per motivi tecnici. Tali scioglimenti, infatti, avevano lo scopo di far svolgere contestualmente le consultazioni elettorali di Camera e Senato la cui durata era diversa, cinque anni per la prima e sei per il secondo. Poi intervenne la legge costituzionale n. 2 del 1963 che equiparò la durata delle due camere, senza però modificare il citato articolo. Non si rinvengono invece precedenti dello scioglimento di una sola camera per motivi politici. Solo Silvio Berlusconi ne accennò intervenendo telefonicamente ad un convegno del PdL: “Senza una maggioranza alla Camera dei deputati si andrà a votare per la stessa Camera”.

Articolo 92 – “Il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dai ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri”.

Il Presidente del Consiglio è eletto a suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni. Le votazioni per l’elezione delle due Camere e del Presidente del Consiglio avvengono contestualmente. La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i principi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri. Il Presidente del Consiglio dei ministri è eletto nella Camera nella quale ha presentato la sua candidatura.

Il Presidente della Repubblica conferisce al Presidente del Consiglio dei ministri eletto l’incarico di formare il Governo e nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri.

Questa è la modifica più sostanziale del DDL, il Presidente del Consiglio ottiene una investitura popolare diretta atta a conferire un potere dal basso, il che sottende al fatto che, essendo le elezioni contestuali, la lista che guida ottenga la maggioranza dei voti. Si potrebbe ipotizzare una sorta di voto disgiunto? Ma quante probabilità, in questo caso, si possono avere di elettori che votino un candidato premier di destra e una maggioranza di sinistra o viceversa? D’altronde l’incarico come attualmente previsto, richiama il principio europeo dello spitzenkandidat, l’investitura da parte del Presidente della Repubblica va alla personalità che guida, o può mettersi in testa, a una maggioranza politica. Appare evidente che attualmente si potrebbero avere maggioranze composite in assenza di un voto elettorale non chiaro, abbiamo visto come si possano mettere assieme M5S e Lega e subito dopo M5S e PD, malgrado le differenze sostanziali e gli attriti passati. Nella formula proposta la formazione di maggioranze eterogenee sarebbe ovviamente difficilissima se non impossibile vista la personalizzazione della votazione popolare e lo stretto legame tra il candidato Presidente del Consiglio e la lista da lui guidata, come rafforzato dall’ipotesi successi di conferimento dell’incarico sempre ad un candidato della medesima lista.

La proposta prevede un premio di maggioranza anche al Senato, cosa di dubbia costituzionalità visto la composizione della camera alta su base regionale e che già la Corte ebbe a eccepire su questo, appare più una voglia dell’estensore del DDL di godere di un potere inattaccabile e dominante in entrambi i rami, ma con più di un dubbio sulla fattibilità dello stesso.

L’ultimo comma appare più un contentino ai critici e alla formula attuale, se il Presidente della Repubblica deve conferire OBBLIGATORIAMENTE l’incarico ad un Presidente del Consiglio già eletto su base popolare, è una pura formalità di cortesi più che un atto sostanziale.

Articolo 94 – Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. “Entro dieci giorni dalla sua formazione il governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Nel caso in cui non venga approvata la mozione di fiducia al Governo presieduto dal Presidente eletto, il Presidente della Repubblica rinnova l’incarico al Presidente eletto di formare il Governo. Qualora anche quest’ultimo non ottenga la fiducia delle Camere, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere”.

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

In caso di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio eletto, il Presidente della Repubblica può conferire l’incarico di formare il Governo al Presidente del Consiglio dimissionario o a un altro parlamentare che è stato candidato in collegamento al Presidente eletto, per attuale le dichiarazioni relative all’indirizzo politico e agli impegni programmatici su cui il Governo del Presidente eletto ha ottenuto la fiducia. Qualora il Governo così nominato non ottenga la fiducia e negli altri casi di cessazione dalla carica del Presidente del Consiglio subentrante, il Presidente della Repubblica procede allo scioglimento delle Camere.

Anche qui traspare la volontà di svuotare di contenuti le attuali prerogative del Presidente della Repubblica, lo scioglimento delle Camere non è più una possibilità di minaccia che lo stesso ha per ‘forzare la mano’ alle forze politiche, ma diviene un obbligo imperativo; il ‘può’ muta in ‘deve’. Altro fatto che appare immediatamente chiaro è la volontà di eliminare la possibilità di ‘governi tecnici’, in caso di mancata fiducia al Presidente del Consiglio eletto e ad altra figura ad esso collegato, il Presidente della Repubblica PROCEDE allo scioglimento delle Camere, appare quindi impossibile che lo stesso possa conferire l’incarico a una personalità tecnica non presente nell’arco parlamentare. La necessità che il paese sia governato da un governo politico è giusta, ma come è pensabile che si possa andare a elezioni anticipate, escludendo la possibilità a priori di una soluzione di emergenza, in casi di estrema criticità per il paese come fu lo spread a 500 punti o la pandemia?

[NdR – Il testo integrale del DDL]

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