1971, Leone al Quirinale
L’Italia era impegnata a prepararsi per il Natale, tra acquisti dell’ultimo momento e cucine pronte a sfornare i tradizionali cenoni della Vigilia quando arrivò la notizia dell’elezione di Giovanni Leone alla Presidenza della Repubblica.
Quella di Leone è stata l’elezione che ha richiesto il maggior numero di votazioni se si pensa che un risicato quorum del 51,4% venne raggiunto solo al ventitreesimo scrutinio. Il candidato ufficiale della Democrazia Cristiana era uno dei suoi più importanti “Cavalli di razza”, Amintore Fanfani che, però, non resse e solo dopo l’undicesimo scrutinio venne ritirata. Difficile dire se fu questa, per l’economista aretino, la più cocente sconfitta della sua vita o quella che giunse nel 1974 al referendum sul divorzio.
In ogni caso sul nome di Leone, a discapito di quello di Aldo Moro, riuscì a convergere la maggioranza dei grandi elettori democristiani ma fu necessario l’indispensabile apporto dei voti del Movimento Sociale Italiano di Almirante per giungere all’elezione.
Brillante giurista nato a Napoli nel 1908, e già giovanissimo docente di Procedura penale, Giovanni Leone aveva sposato nel 1946 la appena diciottenne Vittoria Michitto di vent’anni più giovane da cui ebbe quattro figli di cui uno morto in tenera età.
Tra i primi incarichi importanti ricordiamo la sua partecipazione alla stesura del Codice della navigazione nel 1942 e l’elezione all’Assemblea costituente nel 1948, Leone è stato Ministro delle Finanze in diversi governi italiani tra il 1948 e il 1955. Ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio dei ministri in due occasioni: la prima nel 1963 e la seconda nel 1968 ed entrambi i mandati, curiosamente, sono andati dal giugno al dicembre dello stesso anno.
Dopo gli anni di una presidenza non certo carismatica come quella di Saragat, probabilmente una personalità più forte anche di quella di Leone poteva essere una scelta giusta per il Quirinale, anche in considerazione del periodo che l’Italia stava attraversando. E se la sua elezione non fu tra le più semplici, anche la presidenza di Leone dovette affrontare momenti difficili.
Sicuramente ha segnato la fine della prima fase dell’esperienza di centro-sinistra, ma ha anche plasmato una nuova maggioranza di centro con il supporto esterno di una parte della destra. Il periodo precedente era stato caratterizzato da una coalizione di forze politiche progressiste, ma la nuova configurazione politica indicava chiaramente un cambio di direzione che probabilmente non vi sarebbe stato se, come alcuni avrebbero voluto, fosse stato eletto presidente Aldo Moro.
Il primo atto importante di Leone fu la non semplice decisione di sciogliere le Camere nel 1972, primo presidente a ricorrere a questo potere, ma il suo mandato è caratterizzato, in particolare, dalle sue dimissioni. Ma prima di arrivare a queste a Leone vennero rimproverate cadute di stile e fu tacciato d’inadeguatezza al ruolo presidenziale e Mino Pecorelli gli attribuì amicizie discutibili; è stato anche il presidente democristiano che ha visto la sconfitta del suo partito al referendum sul divorzio e, comunque, tenne saldamente il polso durante la vicenda del sequestro e rapimento di Aldo Moro.
Ma il suo nome resta indelebilmente legato allo scandalo Lockheed; già dal 1976 si era insinuato che fosse lui con il nome in codice Antelope Cobbler, insieme all’ex presidente del Consiglio Mariano Rumor ad avere ricevuto tangenti dalla multinazionale americana per l’acquisto di aerei.
Le accuse si dimostrarono del tutto infondate ma la campagna montata dai radicali, con in prima fila Marco Pannella, Emma Bonino e Camilla Cederna, autrice di un libro sull’argomento, obbligarono Leone alle dimissioni poco dopo la conclusione della vicenda Moro. Le tardive e ormai inutili scuse dei leader radicali, oltre venti anni dopo, hanno reso la sua onorabilità a Leone.
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