L’ultima guerra del secolo scorso
Già sembra strana l’espressione usata nel titolo, ma sembra passata un’eternità da quel gennaio 1992 quando Radovan Karadžić annunciò la creazione della “Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina”. Questo atto unilaterale fu visto dalla comunità internazionale come un passo provocatorio e una minaccia all’unità del paese, accelerando ulteriormente il cammino verso il conflitto armato che era già iniziato al momento del disfacimento della Jugoslavia.
Già era in corso la guerra tra Serbia e Croazia a seguito delle rivendicazioni della prima su territori croati ma abitati principalmente da serbi e, in quel momento, la Bosnia ed Erzegovina, formata da tre diverse etnie (Bosgnacchi, Serbi e Croati) era in una situazione di pace momentanea e instabile, in quanto le tensioni etniche erano pronte a esplodere.
La dichiarazione di Karadžić esacerbò le tensioni etniche e contribuì a definire ulteriormente le linee di demarcazione tra i gruppi etnici. La Bosnia ed Erzegovina si trovò così divisa in entità politiche distinte, con la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina dichiaratamente separata dalle autorità bosniache centrali.
La comunità internazionale reagì con preoccupazione e condanna nei confronti delle azioni unilaterali che minacciavano la pace e la stabilità. Tuttavia, le risposte efficaci e tempestive furono limitate, e la guerra bosniaca si rivelò uno dei conflitti più complessi e prolungati degli anni ’90.
Vennero firmati dalle diverse parti in causa diversi accordi di cessate il fuoco, inizialmente accettati, per essere stracciati solo poco tempo dopo. Le Nazioni Unite tentarono più volte di far cessare le ostilità, con la stesura di piani di pace che si rivelarono fallimentari. Inoltre, le trattative venivano spesso condotte da mediatori spesso ritenute inadatti e ciò portò a far aggravare il conflitto più che pacificarlo.
Inizialmente i Bosgnacchi e i Croati combatterono contro i serbi, i quali erano dotati di armi più pesanti di provenienza verosimilmente sovietica e controllavano gran parte del territorio rurale, con l’eccezione delle grandi città di Sarajevo e Mostar. Nel 1993, dopo il fallimento del piano Vance-Owen, che prevedeva la divisione del Paese in tre parti etnicamente distinte, scoppiò un conflitto armato tra bosniaci musulmani e croati sulla spartizione virtuale del territorio nazionale.
Mostar, già precedentemente danneggiata dai serbi, fu costretta alla resa dalle forze croato-bosniache. Il centro storico fu deliberatamente bombardato dai croati, che distrussero il vecchio ponte Stari Most il 9 novembre 1993.
A seguito del perdurare dell’assedio di Sarajevo e delle atrocità connesse, il 30 agosto 1995 la NATO intervenne contro le forze della Repubblica Serba in Bosnia di Karadžić. La campagna militare aerea della NATO, data l’evidente superiorità, inflisse gravi danni alle truppe serbo-bosniache e si concluse il 20 settembre 1995. L’intervento alleato fu fondamentale per ricondurre i Serbi al tavolo delle trattative di pace e ai colloqui di Dayton.
Il bilancio della guerra fu terribile: l’assedio a Sarajevo da parte delle truppe serbo-bosniache durò oltre tre anni e la città ne porta ancora pesanti segni; Ciascuno dei gruppi si rese protagonista di crimini di guerra e di operazioni di pulizia etnica, causando moltissime perdite tra i civili.
Karadžić è stato accusato di crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio per il suo ruolo nella guerra in Bosnia, in particolare per il massacro di Srebrenica e l’assedio di Sarajevo. Nel 2016, il Tribunale Penale Internazionale per l’ex Jugoslavia (ICTY) lo ha condannato per genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, stabilendo una condanna all’ergastolo.
Attualmente, Karadžić è detenuto presso il carcere dell’Aia, dove sta scontando la sua condanna. Non è più una figura attiva nella politica e la sua incarcerazione è stata un importante sviluppo nel perseguire la giustizia per i crimini commessi durante il conflitto in Bosnia ed Erzegovina.
La guerra nella ex Jugoslavia è formalmente cessata con gli Accordi di Dayton nel 1995, ma focolai che non lasciano ben presagire si avvertono in Kosovo ancora oggi.
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