Kim Jong-un e Putin, un legame pericoloso

L’autocrazia di Kim Jong-un, per crudeltà e sottomissione dei Nordcoreani, non è seconda a nessuna. Il suo regime terrorizza tanto il suo popolo quanto la cerchia che gli è più vicina, consapevole che neanche legami familiari possono metterla al sicuro dall’imperscrutabile sua tirannide.

Più un quarto di secolo di sanzioni ha ridotto il paese a una povertà assoluta, accresciuta dalla concentrazione della spesa in armamenti e nello sviluppo di un programma nucleare mirato a portare un attacco missilistico devastante agli Stati Uniti.

Putin dal 2000 non aveva visitato Pyongyang e fino ha due anni fa aveva pienamente partecipato al sistema sanzionatorio delle Nazioni Unite preoccupate di domare l’esplosiva miscela di dittatura e aggressività militare del despota di Pyongyang. Perché un’arma nucleare è pericolosa di per sé, ma diventa una minaccia assoluta se a premere il bottone è un uomo solo al comando in preda all’irrazionalità.

Diventa quindi oggi chiaro quanto a Mosca si tenga a creare un asse antioccidentale saldato intorno agli interessi più elementari suscitati dall’aggressione all’Ucraina e senza i quali Putin non avrebbe nessun interesse ad avvicinare chi oggi gli procura le munizioni indispensabili per continuare a colpire le città ucraine.

Ne sono preoccupati i Sudcoreani che vedono l’arroganza di Kim Jong-un manifestarsi in sconfinamenti delle sue truppe nella zona demilitarizzata tra le due Coree perché ora ha stretto un accordo di assistenza reciproca con Putin.

Ma forse il leader cinese Xi Jinping non è oggi il più entusiasta perché a Pechino le questioni della penisola coreana fin dalla guerra degli anni Cinquanta sono state considerate di dominio prioritario cinese.

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