Cinque anni fa il giorno che ha cambiato il mondo
Esattamente il 17 novembre di cinque anni fa, in una provincia della Cina poco conosciuta ai più, l’Hubei, si registrava il primo caso di quello che sarebbe diventato il virus più discusso e devastante degli ultimi decenni: il COVID-19. Il paziente era un cinquantacinquenne, ignaro del ruolo che la sua diagnosi avrebbe avuto nello scatenare una crisi globale senza precedenti. Da quel giorno, un’onda di cambiamenti ha travolto ogni aspetto della nostra vita, plasmando un mondo diverso da quello che conoscevamo. Eppure, per quanto recente, quella data sembra già appartenere a un’altra epoca, quasi fosse accaduta un’eternità fa.
Forse, all’inizio, pensavamo di restarne fuori, che la distanza potesse rendere quel pericolo innocuo per noi. Non è stato così. Lasciamo da parte polemiche e complottismi, spese folli inutili, fake e vere e proprie guerre sull’uso dei vaccini: sono storia. Chiediamo a noi stessi, ognuno di noi, come questa vicenda ci abbia toccato e se siamo cambiati. Difficile dire che non ne abbiamo risentito. Magari anche nel bene.
Il COVID-19 ha messo in discussione molti dei nostri gesti quotidiani, come stringersi la mano o abbracciarsi. Di colpo, le distanze sociali si sono trasformate in una realtà fisica: un metro, due metri tra le persone. Mascherine e igienizzanti sono diventati i nuovi accessori, e il concetto stesso di normalità ha assunto significati mutevoli e personali. Quella che era un’abitudine comune, incontrarsi liberamente e senza pensieri, è diventata un lusso che si apprezzava solo quando era già stato perduto.
In questi cinque anni, anche il nostro modo di fare acquisti ha subito un cambiamento epocale. Con le limitazioni agli spostamenti e la chiusura temporanea dei negozi, l’e-commerce è diventato la nuova normalità, offrendo una comodità impensabile fino a pochi anni prima.
Non solo prodotti essenziali, ma anche beni di consumo, abbigliamento, e persino cene gourmet sono entrati nelle nostre case tramite un semplice click. Ordini di piatti da ristoranti di alta cucina, consegne di ingredienti freschi per preparare pasti sofisticati e abbonamenti a kit culinari hanno reso l’esperienza del ristorante accessibile dalla cucina di casa. Questa evoluzione ha spostato le abitudini di spesa e ha creato nuove opportunità per i settori della ristorazione e della logistica, trasformando il nostro rapporto con il consumo in modo radicale e forse permanente.
Il nostro rapporto con lo spazio domestico si è trasformato. Da luogo di riposo, la casa è diventata ufficio, scuola, palestra e rifugio. Lo smart working si è imposto con una rapidità inaspettata, portando con sé una rivoluzione nel mondo del lavoro. Per molti, la pandemia ha significato la perdita di un impiego o l’inizio di una nuova attività, cambiando radicalmente percorsi professionali. Questa esperienza condivisa ha ridisegnato le priorità, ponendo l’accento sul tempo e sul valore del benessere psicologico.
Ma il cambiamento forse più profondo lo hanno vissuto i giovani. Bloccati in casa, con le scuole chiuse e le interazioni sociali limitate, hanno trovato nel digitale il loro principale canale di comunicazione più di quanto già non lo fosse prima. E non era poco.
Il mondo dei social, dei videogiochi e delle piattaforme virtuali ha assunto un ruolo centrale, accelerando una trasformazione che era già in corso. Molti di loro hanno visto l’universo digitale non solo come un rifugio, ma come uno spazio reale di crescita, socializzazione e lavoro. Questi anni di adattamento forzato hanno segnato la loro identità e il loro rapporto con il mondo esterno.
Recenti fatti di cronaca, che hanno visto tristi protagonisti proprio dei giovanissimi, dovrebbero far riflettere su quanto quel periodo possa avere influenzato su menti in via di formazione e prive dell’indispensabile supporto fisico della scuola e dei docenti. Non possiamo incolpare il virus di alcune violenze, ma come supporto e concausa, sicuramente, ha avuto il suo ruolo.
Se ci guardiamo indietro, ci rendiamo conto che era solo cinque anni fa. Ma in quei cinque anni il mondo è cambiato, e anche noi lo siamo.
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