L’ora di Renzi
Che Matteo Renzi dovesse atterrare a Palazzo Chigi era scontato dalle primarie dell’8 dicembre ed era di per sé prevedibile. Il principale partito della maggioranza ha tutti i diritti di mandare al governo il proprio segretario, se gli alleati sono d’accordo. Era però opinione diffusa tra gli addetti ai lavori che i tempi sarebbero stati più lunghi: almeno un anno, per consolidare l’avvio della ripresa che il Governo, col suo lavoro dignitoso e paziente, stava portando a casa, gestire al meglio il semestre UE e favorire il passaggio di Letta alla presidenza del Consiglio Europeo. Poi, qualcosa che non capiamo bene ha provocato una brusca accelerazione dei tempi. Renzi è stato preso dalla sua impazienza caratteriale, o dal timore di farsi logorare in una mezza impotenza a Via del Nazareno? C’è persino chi pensa che la vecchia guardia del PD gli abbia teso una trappola per mandarlo a bruciarsi (successe nel 1998, quando D’Alema fu spinto a Palazzo Chigi al posto di Prodi).
Il fatto è che un’operazione politica in sé legittima è stata condotta in modo da creare nell’opinione pubblica reazioni sconcertate e contradittorie (Letta era criticato a destra e a manca, ora pare che la sua uscita susciti stupore e stridor di denti). Confusione aumentata a dismisura dalla maniera superficiale e frivola con cui stampa e TV hanno in generale trattato l’evento, presentandolo come una storia di “fratelli coltelli” che ne occulta, dietro il consueto polverone, il significato politico tutt’altro che banale (persino Vespa ha ridotto la vicenda all’eterna contesa tra pisani e fiorentini!). Va detto che lo stesso Letta non ha contribuito alla chiarezza col suo infantile tentativo di resistenza all’inevitabile. Ma lamentarlo non serve.
Guardiamo piuttosto al futuro. Renzi si è assunto un grave rischio e con lui se lo è assunto il PD, che si gioca l’ultima briscola e, se non vince la scommessa, sarà costretto a passare la mano. Ne sarà valsa la pena se il giovane segretario riuscirà a formare un governo solido, con una maggioranza coesa e un programma credibile, e saprà poi affrontare in concreto i nodi che da mesi promette di sciogliere. Le cose che si possono fare a costo zero (anzi, causando risparmi) sono tante: dalle riforme istituzionali a quella elettorale, dal taglio agli sprechi della spesa pubblica alla semplificazione della giustizia, dallo snellimento della burocrazia e delle sue procedure alla spinta alla meritocrazia, da una sana riforma delle leggi sul lavoro a una maggiore equità fiscale, da un sistema pensionistico riequilibrato in alto e in basso al sostegno alla ricerca scientifica e tecnologica, da un rilancio dell’educazione e della cultura alla lotta contro la corruzione e le mafie, dal maggiore utilizzo dei fondi europei all’azione per un’Europa che sia motore centrale dei grandi investimenti strutturali. E se per questo occorra arrivare al 2018, ci credo poco ma se contro ogni aspettativa riuscissimo a portare a termine la legislatura in modo produttivo, la classe politica darebbe una lezione di responsabilità e recupererebbe parte del consenso perduto.
Renzi non potrà fare tutto da solo, ma il suo ruolo sarà decisivo: lasci perdere cose “di sinistra” sulle quali non avrebbe il consenso degli alleati (tra l’altro, non ha debiti da pagare all’uomo dall’orecchino) e si concentri sui punti cruciali, mettendoci tutta la spinta di cui potrebbe essere capace. Ma dargli una mano è dovere di ogni persona responsabile, a cominciare dal PD, che ha dato anche troppi esempi di faide e coltellate. Lo stesso Letta, per quanto comprensibilmente si senta maltrattato, non dovrebbe chiudersi in uno sdegnoso rifiuto. È una risorsa per il Paese ed io per esempio penso che sarebbe un Ministro degli Esteri ideale per guidare Renzi nelle complessità europee. Lo stesso vale per gli alleati dell’ultimo Esecutivo; sono minoranza, ma minoranza decisiva, possono influire sulle scelte di governo se accettano di entrare nel Governo Renzi, se lo sosterranno con costanza e lealtà. Anche perché, se l’esperimento fallirà, a rimetterci saranno anche loro.
Quanto all’opposizione, faccia il suo mestiere con tutta la determinazione voluta ma, per pietà, risparmiandoci le fandonie: impegno di decenza verso il Paese che è inutile ricordare a Grillo, ma dovrebbe essere sentito da Forza Italia, se vuol essere quella forza moderata e affidabile che dice di essere. Critichi e incalzi il Governo sulle cose, ma la smetta di rincorrere la favoletta del Premier “non eletto”. Fino a che non si cambia la Costituzione, la nostra è una democrazia parlamentare, in cui il capo dell’esecutivo è nominato dal Presidente della Repubblica e deve avere la fiducia delle Camere. Se la designazione di un candidato al Governo da parte dei partiti o delle coalizioni avesse veramente modificato il dettato costituzionale, la conseguenza paradossale sarebbe che, come “l’eletto” fu ne 2008 Berlusconi, oggi sarebbe Pierluigi Bersani, designato dalla coalizione che ha vinto le elezioni dello scorso anno. Berlusconi, naturalmente, queste cose le sa benissimo e forza la verità per pura propaganda. Eppure, nel suo ultimo comizio in Sardegna, ha avuto un gesto di serietà riconoscendo che “Renzi non è comunista” (meno male!), e di eleganza facendogli “gli auguri di tutto cuore”. Altro segno di civiltà è l’andare, dopo tanti insulti, alle consultazioni con Napolitano. Il che prova che è uomo capace del peggio e del meglio; dia un suo contributo alla dignità della vita politica mettendo da parte le frottole.
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