Camera di Consiglio
VALORE PROBATORIO DEI MESSAGGI WHATSAPP NEL PROCEDIMENTO CIVILE – Il caso in esame trae origine da un decreto ingiuntivo ottenuto da un’azienda per ottenere il pagamento delle proprie spettanze, opposto dall’ingiunto–committente. Al temine del procedimento di I grado, il Tribunale accoglieva l’opposizione, ritenendo che la pretesa azionata con il procedimento monitorio non avesse fondamento.
Di talché l’azienda proponeva appello lamentando, in particolar modo, l’erronea valutazione della documentazione prodotta e delle risultanze delle prove orali assunte, da cui emergeva il titolo della pretesa azionata: la Corte rigettava l’opposizione, rappresentando che l’assenza di un contratto in forma scritta tra le parti non poteva esimere il Giudice di I grado da una corretta ricostruzione della fattispecie: invero, alla luce della documentazione acquisita e dalle testimonianze, appariva evidente l’esistenza di una pattuizione tra le parti.
In particolare, tale ricostruzione era corroborata dalla comunicazione intercorsa tra le parti medesime, le quali, tramite messaggi whatsapp, confermavano la debenza dell’importo portato dalla fattura emessa a seguito dei lavori effettuati all’esito dell’ultimazione della installazione. Non poteva revocarsi in dubbio l’esistenza di un contratto d’opera tra le parti; inoltre, mai era stato contestato il vantaggio ottenuto dal committente.
Il committente ricorreva per Cassazione, lamentando, in particolare, come il Giudice d’Appello avesse utilizzato, a fini probatori la copia fotografica del messaggio whatsapp senza alcuna certezza sulla riconduzione al suo apparente autore. Il motivo veniva ritenuto infondato.
Secondo la Suprema Corte, non solo nel caso di specie la prova della pattuizione del prezzo era stata fornita in via testimoniale, ma tale prova era stata corroborata dal messaggio whatsapp inviato dal committente, in cui si subordinava il pagamento secondo la fattura inviata all’ultimazione dell’installazione. La Cassazione, dunque, sanciva, riprendendo giurisprudenza costante, che “i messaggi ‘whatsapp’ e gli ‘sms’ conservati nella memoria di un telefono cellulare sono utilizzabili quale prova documentale e, dunque, possono essere legittimamente acquisiti mediante la mera riproduzione fotografica, con la conseguente piena utilizzabilità dei messaggi estrapolati da una ‘chat’ di ‘whatsapp’ mediante copia dei relativi ‘screenshot’, tenuto conto del riscontro della provenienza e attendibilità degli stessi”.
Pertanto, sia il messaggio di posta elettronica che i messaggi whatsapp costituiscono un documento elettronico (contenente la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti che rientrano tra le riproduzioni informatiche e le rappresentazioni meccaniche di cui all’art. 2712 c.c.). Pertanto, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate se colui contro il quale vengono prodotti non ne disconosca la conformità ai fatti o alle cose medesime.
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