Debito pubblico 3000mld, disastro o gestibile?
A novembre il debito pubblico dell’Italia ha infranto per la prima volta la barriera psicologica dei 3000 miliardi di euro. Ovviamente, un debito pubblico di queste dimensioni non è certamente un dato di per sé rassicurante, in quanto rende il Paese sicuramente più vulnerabile a imprevedibili shock esterni. Tuttavia, per esprimere un giudizio complessivo sulla reale rischiosità del nostro debito non basta guardare alle sue dimensioni in termini assoluti, ma bisogna concentrarsi piuttosto sulla sua sostenibilità nel tempo. E per fare questo bisogna esaminare, oltre ovviamente alla crescita del Paese (il famoso rapporto debito su PIL), almeno altri due fattori fondamentali.
Il primo fattore è connesso alla composizione del nostro debito pubblico – I nostri titoli pubblici, sono attualmente detenuti per circa il 70% da soggetti residenti in Italia e per il 30% da soggetti esteri. E questo è sicuramente un fattore importante per la sostenibilità del nostro debito, considerando che un debito detenuto in casa tende a essere più stabile fino alla scadenza, mentre un debito detenuto da operatori finanziari esteri tende a essere meno condizionabile e gestito in ottica maggiormente speculativa. Ed è proprio con l’intento di rafforzare lo ‘zoccolo duro’ dei residenti che il governo ha spinto progressivamente verso emissioni specifiche destinate alle famiglie italiane, la cui quota di debito pubblico è infatti rapidamente salita dal 6 al 14%. Parliamo qui di BTP Italia, BTP Valore, BTP Più, ecc.
Per fare un paragone, il Giappone ha un debito pubblico pari al 260% del proprio PIL (in Italia questo rapporto è intorno al 138%), ma il debito giapponese è considerato ugualmente sostenibile, proprio perché detenuto appunto al 90% da banche, fondi pensione e famiglie giapponesi.
Il secondo fattore fondamentale per la sostenibilità del nostro debito è legato invece alla fiducia degli investitori – Il punto è che attualmente questa fiducia esiste, è palpabile, e deriva essenzialmente da due elementi. Il primo elemento è legato, incredibile a dirsi, all’attuale stabilità politica che risalta ancor di più a confronto dell’instabilità politica di Francia e Germania. Il secondo elemento è che il ministro Giorgetti ha presentato alla Commissione nell’ambito del cosiddetto “Nuovo Patto di Stabilità” un piano di rientro dal debito in sette anni imperniato su precisi limiti alla crescita della spesa pubblica. Un piano strutturale di bilancio, non solo presentato nei tempi previsti, cosa non banale, ma anche considerato equilibrato e attuabile dalla Commissione. La Germania, ad esempio, non c’è riuscita.
Conclusione – Da quanto detto, sembrerebbe emergere che il debito pubblico italiano è oggi, per così dire, prezzato male. E questo perché le società di rating, a causa della vischiosità delle loro procedure di valutazione e dei retaggi del passato tardano a prendere atto del miglioramento della situazione economica italiana, obbligandoci così a garantire agli investitori rendimenti decisamente sproporzionati sui nostri titoli rispetto alla reale rischiosità del Paese. Il che va molto bene per gli investitori, ma molto meno bene per le casse dello Stato che sono costrette a sborsare ogni anno oltre 80 miliardi di interessi sul nostro debito sovrano.
[NdR – Fonte Teleborsa.it che si ringrazia per la collaborazione – Andrea Ferretti è docente al corso di Gestione delle Imprese Familiari – Università di Verona]
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