Cronache dai Palazzi
Il confronto con il sistema della magistratura sprona Palazzo Chigi ad andare avanti con la “fase due” della riforma della Giustizia, in un frangente in cui sono diverse le questioni spinose, dal caso Almasri al premierato ancora in una fase statica, la riforma sull’Autonomia differenziata divisiva e la situazione confusa dei centri migranti in Albania. “La battaglia che stavo cercando di condurre va oltre il programma di governo ed è la battaglia per un’Italia normale”, ha affermato la presidente del Consiglio. Allargando lo sguardo a tutti i cittadini elettori la premier inoltre sottolinea: “Penso che anche a sinistra ci sia un sacco di gente che vorrebbe un’Italia normale, in cui una persona per bene non deve avere paura dello Stato, del fisco, della giustizia, della burocrazia”. Ogni cittadino che “non ha fatto nulla di male” non deve temere alcuna azione da parte della magistratura e altre Autorità dato che “queste degenerazioni sono il male che giustifica tutti gli altri mali”. In definitiva “finché la maggioranza è con me, non intendo mollare”, puntualizza la presidente del Consiglio.
Dal fronte delle opposizioni la segretaria dem, Elly Schlein, mette il dito nella piaga: “È evidente che Meloni alzi lo scontro con i giudici per non parlare del merito della questione: la scelta politica di riportare a casa un torturatore libico. E per continuare la sua ostinata ricerca di un nemico al giorno, oggi un magistrato che ha fatto una mera comunicazione prescritta dalla legge. Già altri giudici si sono dimessi, questa macchina del fango della destra per colpire singole persone deve finire. È inaccettabile che chi governa usi il suo potere per delegittimarne un altro previsto in Costituzione”. La segretaria dem sottolinea che si insiste continuamente sull’argomento “mentre l’economia italiana è ferma, la crescita meno della metà del previsto, la produzione industriale cala da ventidue mesi, come i salari di chi guadagna tra 8 e 9 mila euro all’anno”. A salire invece sono le bollette di famiglie e imprese nell’inerzia del governo, sono le accise sul diesel che hanno aumentato di soppiatto, sono le liste d’attesa su cui non attuano il decreto da sei mesi. Ma anche stavolta di tutto questo Meloni se ne occuperà domani, oggi è troppo impegnata a fare la vittima”. Per Giuseppe Conte si tratta di un “danno d’immagine” ossia “avere fatto la scelta politica di sfregiare la legalità internazionale imbarcando su un volo di Stato, a nostro spese”, colui che la Corte penale internazionale ha accusato di crimini contro l’umanità. L’Anm accusa il ministro della Giustizia Nordio per il fatto di non essere intervenuto; come stabilisce la legge del 2012, il tramite tra la Corte penale dell’Aia e il governo italiano è il ministro della Giustizia “al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e dargli seguito”.
In blocco le opposizioni ritengono che il governo dovrebbe chiarire la posizione dell’esecutivo, spiegando la situazione di fronte al Parlamento. La protesta si è inasprita dopo l’annullamento delle informative dei ministri Nordio e Piantedosi. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, puntualizza: “Il governo non scappa ma è necessaria una riflessione”.
Nel contempo un fronte antigoverno, dal Pd ad Azione, blocca i lavori di Camera e Senato fino al 4 febbraio quando è comunque prevista una convocazione straordinaria delle conferenze dei capigruppo. Palazzo Chigi, a sua volta, rende noto che “il governo è compatto anche nell’esercizio dei propri diritti di difesa”. Per la maggioranza “l’atto dei magistrati – la comunicazione nel registro degli indagati – è voluto non dovuto”. I magistrati rispondono puntualmente difendendo “l’atto dovuto”, e sottolineano: “Mettere in relazione le critiche della magistratura alla riforma con quanto è accaduto è fare disinformazione”.
I magistrati, nello specifico, sostengono di aver rilevato la “irritualità” dell’arresto in Italia del generale libico, ai fini dell’estradizione; di conseguenza, come da procedura, hanno sottoposto il caso al ministro della Giustizia Nordio non ottenendo però alcuna risposta in merito; da qui l’esplosione del caso, culminato con il rimpatrio di Almasri. Dopo l’arresto da parte della Digos, la Corte d’Appello di Roma, competente per i casi internazionali, ha atteso tre giorni un riscontro (mai giunto) da parte del ministro di via Arenula, di seguito la scarcerazione e il rimpatrio, riferiti nell’immediato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, nel corso del question time a Palazzo Madama. Secondo quanto riferito dal responsabile del Viminale la pericolosità del generale libico sarebbe stato l’elemento chiave che ha determinato il rimpatrio.
I dem insistono sull’umiliazione del Parlamento e della democrazia, e sul fatto che l’esecutivo deve “dire la verità al Paese”. Ed ancora, “il Parlamento resterà bloccato finché Meloni non verrà in Aula”, ammoniscono le forze più dure del centrosinistra ma dal centrodestra riferiscono che la premier non asseconderà la richiesta degli avversari, per i quali Meloni attacca i magistrati per non riferire sulla vicenda libica. Le opposizioni non hanno comunque intenzione di mollare e nel caso di una risposta “inadeguata” da parte dell’esecutivo si deciderà se optare per l’Aventino o per l’occupazione delle Aule di Camera e Senato.
“Il nostro impegno per difendere l’Italia proseguirà con determinazione e senza esitazioni”, ribadisce a sua volta in un tweet la premier Meloni, sottolineando: “Niente passi indietro quando è in gioco la sicurezza della nazione”.
L’ennesimo scontro tra governo e magistratura non ha ovviamente lasciato indifferente il Colle, vertice delle Istituzioni. Scontro roboante che non ha nulla a che vedere con i continui mòniti del Capo dello Stato orientati al rispetto e alla sobrietà nel corso del proprio operato giunto al compimento del decennio. Sergio Mattarella è il Presidente della Repubblica con più anni al Quirinale, un dato che connoterà la storia dell’Italia repubblicana, il presidente che anche quando alza la voce lo fa a bassa voce -utilizzando un ossimoro efficace – senza mai alzare i toni, con magistrale e attenta economia di parole.
Alto rappresentante e difensore dello Stato-comunità, il presidente Mattarella nel corso degli anni ha visto crescere notevolmente l’affetto e la stima degli italiani nei suoi confronti, instaurando un dialogo diretto tra il Palazzo e la Piazza. Di einaudiana memoria, Sergio Mattarella ha di certo rafforzato il legame tra il Paese legale e il Paese reale. Esempio illustre della cultura della complessità e della mediazione; una complessità articolata in maniera semplice, mai superficiale e sempre puntuale; un’azione pedagogica attenta, una vera e propria pedagogia delle istituzioni che il Presidente esercita in ogni suo intervento nella vita pubblica: una pedagogia istituzionale magistrale, che fa “scuola”, nutrita con pazienza e competenza, che non transige sui principi in maniera determinata e gentile. Un faro per il Paese, un’autorità morale in Italia e nel resto del mondo, Garante dello Stato di diritto, della democrazia e della libertà.
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