Cronache dai Palazzi: Renzi Uno
Parte il Renzi Uno e l’hashtag lanciato dal neopremier è: “#lavoltabuona”. Matteo Renzi ha sciolto la riserva l’altra sera consegnando la lista dei ministri nelle mani del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e dopo due ore e trentasei minuti di serrato colloquio con il Capo dello Stato ha presentato alla stampa la nuova squadra di governo. Napolitano, a sua volta, ha assicurato che non “c’è stato alcun braccio di ferro”.
Ha poi giurato ieri mattina al Quirinale un esecutivo snello (16 ministri contro i 21 di Letta) e all’insegna della parità di genere (8 donne e 8 uomini), con “ampi caratteri di novità”, come ha rilevato Napolitano, “da spiegare ad abudantiam il tempo necessario per chiarirne la composizione”.
Per Matteo Renzi l’Italia deve mettere le cose “in ordine” e il nuovo governo deve essere in grado di “affidare all’Italia una speranza”. Napolitano auspica invece “riforme strutturali in tempi brevi” e ribadisce: “Confido veramente che non si perda questa occasione. Non possiamo permetterci il lusso di perderla”. Napolitano fa capire inoltre che il governo è responsabilità del presidente del Consiglio, non solo dal punto di vista della Costituzione (art. 92), e sottolinea: “L’impronta di Renzi risulta evidente in molti nomi nuovi chiamati per la prima volta a ricoprire l’incarico di ministri”.
La tanto contesa poltrona del ministro dell’Economia – per la quale Ncd aveva precisato di non volere “qualcuno particolarmente affezionato alle tasse”, e sulla quale forse Renzi ha dovuto allentare la presa – è stata affidata a Pier Carlo Padoan, soprannominato ‘mister patrimoniale’. Ex vice segretario generale dell’Ocse e attuale presidente dell’Istat, per Pier Carlo Padoan, classe 1949, “le tasse che danneggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà, come l’Imu, mentre le tasse che, se abbassate, favoriscono di più la ripresa e l’occupazione sono quelle sul lavoro”. Padoan rappresenterebbe una garanzia per Bruxelles e per la Bce anche per i suoi precedenti incarichi di direttore esecutivo del Fondo Monetario Internazionale per l’Italia nonché di consulente della Banca Centrale Europea e della Commissione Ue.
Alfano rimane ministro dell’Interno – insieme ai compagni di partito Lorenzin (Salute) e Lupi (Infrastrutture) – ma perde la poltrona da vicepremier. “Non le ho mai chieste entrambe”, ha precisato il leader di Ncd. Dichiarandosi “abbastanza soddisfatto” dell’intesa raggiunta, Alfano ha inoltre ribadito che “ci sono le condizioni per fare una buona squadra” sottolineando che il suo “unico obiettivo, insieme a Ncd, è fare un lavoro utile per l’Italia”.
Alfano avrebbe comunque preferito (molto probabilmente) una maggioranza non ‘allargata a sinistra’, mentre la nuova squadra di Matteo Renzi è fortemente targata Pd. I ‘no’ “molto chiari e molto fermi che riguardano sia il programma che l’assetto di governo” enunciati dal Nuovo centrodestra – come il ‘no’ sulla patrimoniale – rappresenteranno così i principali nodi da sciogliere all’interno del governo Renzi, che dovrà inoltre combattere per conquistare la forza dei numeri in Parlamento.
“Renzi ha la maggioranza nel suo partito, ma non in Parlamento, molti deputati pd sono dalemiani e bersaniani”, ha dichiarato il Cavaliere lanciando una chiara provocazione. I Popolari per l’Italia al Senato hanno invece precisato che il loro voto di fiducia “non è scontato”, mentre per l’Udc “occorre senso di responsabilità” perche “non è il momento di scherzare”. Il segretario Lorenzo Cesa ha dichiarato che l’Udc appoggerà il governo Renzi “perché l’Italia ne ha bisogno”.
Per realizzare quello che, magari un po’ entusiasticamente, Alfano ha definito “il governo più riformato e più rivoluzionario della storia” la strada da fare è quindi ancora lunga e contorta e, soprattutto, l’accordo con Ncd non è l’asse portante del nuovo “contratto di governo”.
Le elezioni anticipate sono inoltre sempre dietro l’angolo, e sembra che Renzi le consideri la “carta di riserva” da giocare all’occorrenza qualora salti tutto (ma nelle stanze dei Palazzi c’è chi sostiene invece che siano già parte del progetto renziano). “Dobbiamo tenerci sempre pronti” ha dichiarato a sua volta Berlusconi alle telecamere, confermando il clima da campagna elettorale permanente. Nonostante la volontà di formare un nuovo esecutivo per realizzare le riforme che interessano all’Italia assicurando una “opposizione responsabile”, tornato in auge il leader dei forzisti non promette tempi facili. Nella ‘palude romana’, in fondo, è bene tenere sempre un’arma carica, e su questo punto Renzi sembra essere d’accordo.
I bookmaker internazionali sono convinti che il Renzi Uno durerà almeno 24 mesi, oltre i due anni le probabilità si restringerebbero facendo così saltare il governo di legislatura che il leader dei Democratici, ponendosi l’orizzonte del 2018, vorrebbe avesse un’aspettativa di vita di almeno quattro anni. In effetti durante i giorni delle consultazioni, dopo aver constatato la difficoltà di comporre una nuova squadra di governo, lo stesso Matteo Renzi sembra abbia ammesso: “È meno facile di quanto avessimo pensato”. E quasi intimorito ha aggiunto: “Per molti sono un marziano e vogliono farmi pagare questo”.
L’hashtag “#proviamoci” continua comunque ad essere il leitmotiv preferito da Renzi e la squadra che ha presentato conferma i suoi propositi: “Questo è il mio governo, non ho nessuna intenzione di fare il Letta bis”. Un certo astio tra i due, premier ed ex premier, è emerso anche durante il passaggio della campanella: una fugace stretta di mano senza guardarsi in faccia.
Renzi è il centro gravitazionale del nuovo esecutivo partorito dal Palazzo per la terza volta consecutiva. Una squadra di governo con “ampi caratteri di novità” ma che ora dovrà lavorare duramente per dimostrare le sue capacità operative sul campo, mixando l’informalità, propria di Matteo Renzi – un’informalità che va dosata e magari usata a proprio favore senza esagerazioni – con le liturgie istituzionali soprattutto quando esse potrebbero distogliere dall’obiettivo: portare a termine una missione al servizio del Paese. È evidente la necessità di Renzi di “mandare un segnale a tutti gli elettori che sono rimasti delusi dalla staffetta”, ripristinando quindi un rapporto con l’opinione pubblica. “In questa vicenda – ha avvertito il neopremier – molti di noi si giocano qualcosa di più importante della carriera, si giocano la faccia. Rischiamo tutto ma lo facciamo con entusiasmo, con determinazione e l’amore per il nostro Paese”.
Nel suo discorso di presentazione Matteo Renzi ha premuto l’acceleratore sulla ‘discontinuità’ rispetto all’esecutivo del suo predecessore, precisando che la “concretezza” è “l’elemento di forza” del nuovo governo. “Gli italiani attendono da questo governo risposte concrete”, ha sottolineato il neopremier. Riforme strutturali, debito pubblico, lavoro, fisco, cuneo fiscale, sburocratizzazione e semplificazione amministrativa sono le principali spine che l’esecutivo Renzi dovrà necessariamente togliersi dal fianco se vorrà sopravvivere. L’Europa, a sua volta, è pronta a concedere un piccolo sforamento del 3% qualora le riforme arrivino in porto.
Domani sarà il giorno della richiesta di fiducia in Senato e martedì si passerà alla Camera. Solo dopo Renzi potrà tentare la dura scalata a Palazzo Chigi con in mano il suo “ambizioso programma di riforme”, come lo ha definito nei giorni scorsi il Financial Times di Londra augurando al premier incaricato “buona fortuna”. Il leader dei Democratici dovrà davvero “marcare la differenza” non per mandare un semplice “segnale” agli italiani “delusi” ma concretizzando il tanto sbandierato rinnovamento di cui l’Italia ha – questo sì, davvero – urgente bisogno partendo dall’economia, la poltrona più contesa. La vera sfida è ‘cambiare verso’ sul serio.
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