Libia, “cold case” del Mediterraneo
Non c’è solo l’alta tensione in Cirenaica e il rapimento di un operatore italiano a tenere vivo (e ancora irrisolto) il “dossier Libia” sulle scrivanie delle cancellerie europee, quanto una mancanza di visione su uno dei fronti più geopoliticamente rilevanti dell’intera area mediterranea. Dal dopo Gheddafi in poi la ricerca di una qualche forma di stabilità politica si sta rivelando irta di ostacoli e molto più complessa delle previsioni iniziali. La Libia oggi è scossa da scontri tra milizie e ribelli in un’area già gravata dai fronti delicatissimi aperti in Egitto e Siria di cui nessuno conosce quali potranno essere gli esiti, senza dimenticare la polveriera Turchia pronta a detonare in qualsiasi momento. Ma soprattutto ecco come il dossier libico può essere di stimolo all’Italia affinché sfrutti il semestre di presidenza per dare un contributo fattivo.
La Libia è preda di scontri ormai quotidiani e sequestri di armi. L’ultimo in ordine di tempo è stato quello di un carico di un aereo russo destinato a militari libici, rubato dai ribelli mentre era fermo per rifornimento all’aeroporto internazionale di Tripoli. Sul punto il governo libico, guidato dall’ex ministro della difesa Abdulah al-Thani, resosi conto della gravità e della instabilità dell situazione, si è affidato a Washington e ha avviato una vera e propria campagna antisecessionisti nell’Est del Paese. La presenza massiccia di armi è un segnale che sta inquietando le cancellerie internazionali, ed è anche la ragione della presenza a Roma del segretario di Stato americano John Kerry alla conferenza sulla Libia. Gli Usa vorrebbero affiancare il governo di Tripoli nel ricomporre una credibile forza di polizia interna, anche se le stesse autorità vivono contrasti interni su come gestire le milizie.
Dopo il rapimento a gennaio di due italiani a Motouba, gli operai edili Francesco Scalise e Luciano Gallo, (poi rilasciati il 7 febbraio scorso). pochi giorni fa è stata la volta di un tecnico edile rapito a Tobruk, in Cirenaica, nella parte orientale della Libia. L’episodio ha avuto (purtroppo) il merito di riportare il caso Libia in cima all’agenda politica internazionale, ragion per cui ecco che i riflettori accesi sull’italiano rapito “ricordano” alla comunità internazionale che il “dossier Libia” è tutt’altro che risolto, stretto nella morsa di una instabilità ormai oggettiva e prolungata che ha prodotto lo scorso 3 marzo l’assalto alla sede del Parlamento di Tripoli. In quella circostanza due deputati rimasero feriti, ma in generale si ebbe l’assaggio di un malessere socio-politico ormai diffuso e di difficile gestione, reso ancora più incandescente dal clima di scontri praticamente quotidiani che avvengono nel Paese tra i gruppi di uomini armati che bloccano i maggiori terminal petroliferi libici e le forze di sicurezza.
Scenario dei micro conflitti la città orientale di Ajdabiya, dove gruppi di ex rivoluzionari hanno attaccato le forze di sicurezza intente a liberare tre scali marittimi bloccati dallo scorso luglio. Regista dell’operazione l’Ufficio Politico della Cirenaica, guidato dall’ex rivoluzionario Ibrahim Jadran, che ha ufficialmente dichiarato l’autonomia della regione orientale. Jadran, un attimo dopo la morte di Gheddafi, ha preso il comando delle guardie di sicurezza di alcuni rilevanti impianti petroliferi. Ma accanto al dato politico in Libia prende corpo la grande questione legata al petrolio. Pochi giorni fa i navy seals americani sono dovuto intervenire direttamente al largo di Cipro con un blitz notturno. La petroliera ribelle circondata dalle navi delle milizie filo-governative ha rappresentato un preciso precedente: il gruppo speciale di attacco ha preso il controllo della petroliera nordcoreana Morning Glory che trasportava greggio acquistato illegalmente dai ribelli della Cirenaica, in aperta sfida con il governo centrale.
Una situazione di complessità a cui l’Italia è chiamata a dare un contributo attivo, come dimostra il fatto che pochissimi giorni fa si è svolta a Roma la Conferenza Internazionale sulla Libia. Inizialmente prevista per lo scorso dicembre, è stata poi posticipata anche se è stata l’occasione per fare il punto sul fronte ucraino, con le tensioni fra Mosca e Washington che ricordano gli anni della Guerra fredda. Sul punto si è registrato anche il forte interesse del presidente Barack Obama che ne ha discusso nel suo incontro con il premier italiano Matteo Renzi, per stimolare Roma a farsi portatrice di un valido contributo anche nell’ottica del semestre europeo di presidenza di turno.
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