Cronache dai Palazzi
Dopo aver rinviato il pareggio di bilancio al 2016 il Governo Renzi continua ad applicare la sua “terapia d’urto” a caccia di nuove risorse. Un esecutivo in affanno che fa di tutto per mettere insieme le tessere del mosaico delle coperture smentendo i tagli alla Sanità e agli stipendi degli insegnanti.
L’impresa non è delle più semplici e la lettera inviata alla Ue per chiedere un tempo più lungo (2016) per il pareggio di bilancio è la controprova della estrema difficoltà nel far tornare i conti.
Sul Def il Governo chiede di avere fiducia. Le coperture arriveranno dai tagli alla Difesa (tra cui i contesi F35); dalla tassazione (26%) delle rendite finanziarie; dai tagli alla “casta” ed anche dal taglio degli stipendi dei manager pubblici. Il “placet” europeo non è però del tutto scontato, anche se per ora lo spread si mantiene su livelli piuttosto bassi viaggiando stabilmente attorno ai 160 punti.
Il ministro Padoan ha sottolineato che “nonostante i segnali di ripresa dell’anno in corso, anche nel 2024 il gap rimarrà molto negativo, la ripresa economica ancora fragile e la situazione del mercato del lavoro difficile”. In particolare “per favorire il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione il Governo ha intenzione di avvalersi della procedura eccezionale”chiedendo il rinvio del pareggio approvato dall’Aula di Palazzo Madama con 170 voti. Tra questi sono stati solo 162 i voti espressi dalla maggioranza che sostiene l’esecutivo in carica, mentre gli altri 8 sono arrivati dalle forze di opposizione.
I voti a favore del Def, invece, sono stati solo 156 (92 contrari) quindi la votazione è finita sotto la quota 161 che assicurerebbe al Governo la sopravvivenza (certa). I numeri testimoniano ancora una volta la debolezza dell’esecutivo che non può contare sull’appoggio certo di Palazzo Madama.
Il Documento di Economia e Finanza suscita polemiche non solo tra i banchi dell’opposizione, dove i berlusconiani sono pronti ad accusare il premier di “truccare le carte” – nel senso dei conti pubblici – ma anche all’interno del Pd dove la minoranza continua ad approvare i provvedimenti del Governo Renzi con riserva condita magari con una buona dose di scetticismo. Le polemiche non mancano di sottolineare la non irrilevante dose di strumentalità che sta alla base dei vari provvedimenti, in primo luogo in funzione delle Elezioni europee; ma il premier bolla i critici e gli scettici definendoli “amici gufi” e si affida ancora una volta a Twitter dove l’hashtag preferito continua ad essere “#lavoltabuona”.
Lo scontro sulla lettera inviata dal ministro Padoan alla Commissione europea per informarla della decisione del Governo italiano di rinviare di un anno il pareggio di bilancio rischia di trasformarsi in uno scontro frontale del quale Palazzo Chigi non può sottovalutare le conseguenze nefaste.
In definitiva il Governo conta di ricavare circa 4,2 miliardi di euro con la spending review e le misure saranno strutturali ossia non esauriranno i loro effetti nel 2014, bensì si estenderanno diventando in futuro sempre più marcate. Altri 2,2 miliardi dovrebbero arrivare da entrate “una tantum”.
La sensazione è che tutti i tagli apportati non saranno sufficienti a definire un quadro stabile di risanamento per risollevare il Paese. In bilico il miliardo che dovrebbe arrivare dalle banche, il cui prelievo non dovrebbe arrivare dal raddoppio dal 12% al 24% della tassazione sulla rivalutazione delle quote di Banca d’Italia – sulla cui manovra si riversano dubbi di costituzionalità – ma dal pagamento del tributo con l’aliquota del 12% in una sola soluzione anziché in tre rate. In bilico anche il miliardo e mezzo di Iva che dovrebbe arrivare con il pagamento degli arretrati della Pubblica amministrazione, si tratta di risorse che arriveranno ma che per ora non possono essere indicate come coperture perché frutto di un provvedimento non ancora adottato. Ed infine per attingere le risorse che mancano potrebbero essere reintrodotte altre micro misure fiscali, come il pagamento dell’Imu e la revisione delle accise.
L’operazione è complicata, le tessere del mosaico sono infinite e di non facile composizione. I primi risultati saranno raggiunti forse prima del 25 maggio ma l’alba di un nuovo futuro è ancora lontana. È soprattutto la questione occupazione/lavoro la vera spina nel fianco di questo Governo e un ulteriore scollamento tra le forze di maggioranza è emerso in Commissione Lavoro a Montecitorio dove anche gli alleati di Ncd hanno osteggiato il decreto Poletti, contestando l’introduzione di “irrigidimenti” e “meccanismi puntivi su apprendistato e formazione”. “Non siamo alla crisi di Governo – ha affermato Sacconi – ma c’è un trauma che non possiamo segnalare”. Poletti, a sua volta, ha cercato di ricucire lo strappo sostenendo che “l’esame svolto dalla Commissione Lavoro, pur apportando alcune modifiche al testo, si sia concluso senza stravolgerlo e rispettandone i contenuti fondamentali”.
In un Paese, l’Italia, in cui la civilizzazione del confronto politico continua ad essere un percorso difficile e faticoso si auspica che le riforme di cui il Paese ha estremo bisogno non siano il frutto di infausti calcoli personali o di partito – valutate in pratica con “il metro della convenienza di parte”, come afferma Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera nella sua lettera rivolta al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano – bensì siano messe al servizio dell’interesse generale garantendo agli individui opportuni margini di libertà degni di una sana democrazia liberale.
Giorgio Napolitano nella Lettera del Presidente pubblicata sul Corriere ad un anno di distanza dalla sua rielezione (22 aprile 2013) – Lettera di risposta alla lettera del Direttore del Corriere – sottolinea “l’obbligo nazionale e morale di garantire la continuità dei percorsi istituzionali, e con essa primordiali interessi comuni, anche attraverso avvicinamenti e collaborazioni, sul piano politico, che s’impongono in via temporanea fuori delle naturali affinità e della dialettica dell’alternanza”. Il Capo dello Stato non manca inoltre di sottolineare il proprio compito “faticoso e ingrato” finalizzato a “promuovere la formazione di un Governo di ampia coalizione, il solo possibile nel Parlamento uscito dalle elezioni del febbraio 2013; la sua sincera volontà di “sollecitare un programma di rilancio della crescita e dell’occupazione, e di contestuale, imprescindibile avvio di riforme economico-sociali e istituzionali già troppo a lungo ritardate”.
Stilando infine, e nonostante tutto, un “bilancio positivo” dell’anno in corso Giorgio Napolitano “confida, in sostanza, che stiano per realizzarsi condizioni di maggiore sicurezza, nel cambiamento, per il nostro sistema politico-costituzionale” tali da consentire al Presidente “un distacco comprensibile e costruttivo” dalle responsabilità assunte un anno fa “entro chiari limiti di necessità istituzionale e di sostenibilità personale”.
La necessità di fare il proprio dovere “per rispondere alle esigenze del Paese e della sua vita democratica” è in sostanza l’insegnamento fondamentale estrapolato dalla Lettera del Presidente che vincola il suo impegno politico – ora nelle funzioni di Capo dello Stato ma anche dopo – all’“impegno irrinunciabile” di sostenere l’unità europea “che resta la causa e la visione – senza alternative – da rimotivare e riaffermare” cercando di fronteggiare al meglio l’onda di euroscetticismo che, riconducendo l’Unione europea ad una mera organizzazione economica, finisce per vanificare gli sforzi orientati a rafforzare la forza politica dell’Europa e del sogno europeo.
Il Consiglio dei Ministri di ieri ha adottato una serie di provvedimenti il cui dettaglio è contenuto nel Comunicato stampa emesso al termine della riunione e sintetizzati in una serie di tweet lanciati da Palazzo Chigi.
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