Cronache dai Palazzi
Al bando la rassegnazione, per riformare l’Italia servono il coraggio e la forza di cambiare. Il premier Matteo Renzi fronteggia l’allarme lavoro lanciato dal presidente Napolitano durante la cerimonia del 1° maggio al Quirinale, e ammonisce che “l’emergenza del non lavoro” si combatte “cambiando un sistema-Paese che ostacola l’innovazione, la sperimentazione, il coraggio, la fantasia”.
Il premier torna a sbandierare la manovra degli ottanta euro e lancia la riforma della Pubblica amministrazione che sarà approvata dal Governo il 13 giugno al termine di una consultazione online. I cittadini (tra cui ovviamente i dipendenti pubblici) sono invitati a partecipare alla consultazione per migliorare il lavoro dell’esecutivo che incoraggia per l’appunto una riforma “partecipata”, studiata per stare dalla parte della gente che lavora, perché “una riforma contro i lavoratori avrebbe le gambe corte”, afferma Renzi. La consultazione on line verrà chiusa il 30 maggio, anche con l’intenzione di sottrarla alla campagna elettorale. Palazzo Chigi sottolinea che la riforma non è fatta, in primo luogo, per risparmiare ma l’obiettivo principale è riorganizzare le risorse. Niente tagli degli stipendi quindi, né lavoratori in esubero da licenziare. Nella lettera firmata Renzi e Madia, pubblicata sul sito di Palazzo Chigi, “la filosofia della riforma” viene sintetizzata in tre punti: capitale umano, tagli degli sprechi e innovazione digitale.
Entro il 2018 si libererebbero ben 10-15 mila posti da riservare in parte all’assunzione dei giovani. Per i dirigenti è previsto un ruolo unico, carriere basate su incarichi a termine (coloro che restano senza incarico oltre un certo tempo potranno essere licenziati), premi legati ai risultati e all’andamento dell’economia. Tra le 44 proposte vi sono anche l’abolizione dei segretari comunali; norme rigorose sull’incompatibilità dei magistrati amministrativi; asili nido negli uffici.
Il capitolo della riforma dal titolo “Tagli di strutture non necessarie” incoraggia invece la riorganizzazione della presenza dello Stato sul territorio, con la riduzione del numero delle sedi provinciali della Ragioneria dello Stato e delle prefetture che “diventeranno non più di 40”. Accorpati inoltre Aci, Pubblico registro automobilistico e Motorizzazione. Tagli anche per le autorità portuali e sovrintendenze alle belle arti. Le aziende non avranno più l’obbligo di iscriversi alle Camere di commercio, “offrendo la libertà di scelta”, mentre resta aperto il problema “da affrontare assolutamente” delle 8 mila municipalizzate.
Dare maggiore spazio all’impresa è in sostanza per Matteo Renzi la medicina per annientare la disoccupazione ma non basta un intervento dall’alto: “Serve l’iniziativa di tutti, serve un concorso partecipato di idee” senza però “ripetere il copione del passato, con i tempi lunghissimi della politica tradizionale e delle infinite trattative”. In piena campagna elettorale, Matteo Renzi cerca di attecchire l’elettorato di centrodestra difendendo non solo i diritti dei lavoratori ma anche i diritti di coloro che le imprese le creano e le portano avanti, come testimonia la necessità di cambiare il Paese rimuovendo gli ostacoli che bloccano l’innovazione, la sperimentazione, il coraggio, la fantasia. Per le imprese servono un sistema del credito più semplice e una burocrazia non opprimente: “Pensiamo a quanti imprenditori, soprattutto giovani – afferma Renzi – hanno tante idee e validissimi progetti per far partire imprese nuove e che si trovano di fronte a una serie impressionante di porte chiuse quando chiedono un finanziamento, un’autorizzazione, un bollo, un permesso”.
Ed infine la prossima riforma fiscale, il pagamento dei debiti alla Pubblica amministrazione, le leggi sul mercato del lavoro, sono queste le manovre messe a punto dall’esecutivo in carica – ma ancora sulla carta – stilate con “l’obiettivo di ridare fiato all’economia italiana” martoriata da un tasso di disoccupazione al 12,7% (quella giovanile addirittura al 42,7%).
Sul fronte elettorale, infine, in vista delle Europee l’avversario più temuto da Matteo Renzi non è il partito dell’ex Cavaliere – un partito in preda ad una crisi dinastica: nelle parole di Marina Berlusconi, secondo Angelino Alfano, “si percepisce la paura per la fine di una storia che ha imposto di anticipare i tempi” – ma il movimento di Beppe Grillo del quale ricorda il risultato del 25.6% ottenuto nelle elezioni del febbraio 2013 (Bersani 25,3% e Berlusconi 21%). “Scommetto che i risultati saranno diversi – spiega Renzi a Radio Montecarlo – Credo che in questo momento nei 5 Stelle ci sia molto training autogeno. Ma cos’ha fatto Grillo in quest’anno? Ha soltanto criticato gli altri”, ammonisce il leader del Pd. “A noi serve mandare in Europa gente che va sul tetto del Parlamento e non cambia l’Europa?”, afferma Renzi criticando i pregressi comportamenti dei grillini. “Abbiamo bisogno di gente competente, non di gente che fa show”, ammonisce Renzi. “Votare Grillo è abbaiare alla luna”.
Renzi insiste sulla riduzione del numero dei parlamentari, “il problema è riuscire finalmente a fare risparmiare gli italiani”; replica che sull’Italicum “si va avanti come stabilito” e mentre vara la riforma della Pubblica amministrazione il premier è costretto ad indietreggiare sulla riforma del Senato, che incontrando qualche difficoltà slitterà oltrepassando il termine iniziale del 25 maggio. Roberto Calderoli, relatore in Commissione Affari costituzionali insieme ad Anna Finocchiaro, annuncia un testo base che si ritenga avrà “più dei due terzi dei voti della Commissione e dell’Aula”. Il disegno presentato in Commissione potrebbe comunque non coincidere con il disegno di legge del Governo. L’elettività dei senatori è il nodo più difficile da sciogliere e anche nel Pd persiste un’ala minoritaria a favore di un Senato elettivo, tantoché il testo base potrebbe tener conto dei consensi all’elezione diretta per cui la facoltà di scelta potrebbe spettare alle diverse Regioni; ipotesi, quest’ultima, che vede contraria Forza Italia.
In definitiva la campagna elettorale prevede un Berlusconi agguerrito ma ammutolito, spaventato e amareggiato, che non nasconde il suo malumore per la situazione “assurda” in cui ritiene di trovarsi per le limitazioni, i freni e i vincoli che è costretto a rispettare; un Matteo Renzi che scongiurando un eventuale successo dei pentastellati auspica che alle Europee il suo Pd raccolga più voti di Grillo. Di fatto si delinea, sempre più chiaramente, lo schema bipolare Pd–M5S mentre Forza Italia insegue, quasi disperatamente, la soglia di sopravvivenza del 20 per cento, al di sotto della quale Toti ammette che occorrerebbe cominciare a riflettere seriamente. Dentro FI l’idea di opporsi definitivamente a Renzi non è poi così diffusa e per Renzi, a sua volta, “l’importante è che Berlusconi resti dentro l’accordo delle riforme” perché il vero pericolo da evitare è una tensione politica che vada oltre le elezioni europee di fine mese.
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