BringBackOurGirls
Dopo alcuni giorni di intensa mobilitazione mediatica, sul caso delle giovani studentesse nigeriane rapite dagli uomini dell’organizzazione Boko Haram, è calato il silenzio momentaneamente. Il rapimento non è che un episodio della guerra che l’estremismo islamico ha da tempo dichiarato contro l’istruzione femminile, considerata pericolosa per l’ordine sociale. Una cosa i rapitori hanno ottenuto subito: la loro organizzazione è ora mondialmente conosciuta, anche se i suoi obiettivi non sono del tutto chiari.
Le studentesse, tutte di età fra i 15 e i 18 anni, sono state rapite il 14 aprile dagli alloggi del collegio di Chibook, nello Stato nord orientale di Borno, l’area meno sviluppata della Nigeria. Nell’ultimo video rilasciato in rete, Abubakar Shekau, leader dell’organizzazione estremista dal 2009, ironizza sulla mobilitazione globale seguita al rapimento: “Queste ragazze di cui vi preoccupate tanto, in verità noi le abbiamo già liberate. Volete sapere come? Facendole diventare musulmane”. A sostegno di questa tesi sono state rilasciate delle foto in cui le ragazze, mortificate da un velo nero, pregano in gruppo. Dai loro visi adolescenti traspare un profondo scoramento, misto a paura. Forse intuiscono che, al momento, ben poco si può fare per loro.
Abubakar Shekau ha cercato di mercanteggiare con il presidente Goodluck Jonathan, affermando: “Le rilasceremo in cambio dei nostri fratelli prigionieri delle autorità nigeriane”. Il Senato nigeriano ha subito declinato la proposta, escludendo che il presidente Jonhatan possa avviare un negoziato con Boko Haram per il rilascio delle ragazze rapite. Il presidente della Camera alta, David Mark, ha invece dichiarato,durante una visita in Cina, che “il governo federale non negozierà mai con i terroristi, qualsiasi cosa succeda”. Il governo nigeriano è sotto accusa per non aver protetto il liceo di Chibok. Secondo un rapporto di Amnesty International, l’allarme per il raid dei fondamentalisti era stato dato con molto anticipo, ma i soldati che avrebbero dovuto proteggere il villaggio non sono intervenuti.
In base al video diffuso dall’organizzazione, è probabile che un gruppo consistente di ragazze si trovi nella foresta di Sambisa, a circa 30 chilometri dalla città del sequestro. Altre colonne si sarebbero sparse tra Camerun e Ciad. Boko Haram è organizzato e non ha nulla da perdere, agisce sul terreno e ha dimostrato, con numerose stragi, di non aver alcun rispetto per la vita degli ostaggi. Per questo, un intervento dell’esercito appare estremamente problematico, anche se supportato dalla tecnologia occidentale.
Per il rilascio delle ragazze si è mobilitato il web da tutto il mondo. Su Change.org è stata lanciata la petizione #BringBackOurGirls (“Riportate a casa le nostre ragazze”), in cui si chiede al governo nigeriano e ai leader mondiali di fare tutto il possibile per restituire le rapite alle loro famiglie. La reazione globale alla sfida dei militanti è sì doverosa, ma finisce inevitabilmente per alimentare la fama del movimento estremista. Numerose personalità internazionali, tra cui Michelle Obama, si sono fatte fotografare con lo slogan BringBackOurGirls. L’hashtag è stato inventato dall’attivista nigeriano Ibrahim M. Abdullahi, che ha costituito una squadra di venti persone per promuovere la campagna sui social network.
E’ forte l’analogia tra il rapimento delle ragazze nigeriane e la storia di Malala Yousafzai, giovanissima studentessa pakistana che, all’età di 11 anni, teneva un blog sul sito della BBC, in cui parlava della sua vita da scolara sotto il regime dei talebani, nella valle dello Swat, in Pakistan. Quattro anni dopo, un militante le ha sparato alla testa perché voleva darle una “lezione”, visto che si era permessa di parlare di diritti come educazione, libertà e autodeterminazione delle donne. Malala, nonostante le gravi ferite, è uscita ancora più forte e coraggiosa da quest’esperienza e non ha mai smesso di patrocinare con forza la causa del diritto delle donne allo studio. Una causa fondamentale per la liberazione femminile nei paesi in via di sviluppo, alla quale tutti siamo chiamati a dare un contributo.
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LIBERTA’ PER LE 300 ragazze nigeriane!