Ed ora giocare bene la partita europea
Passate le elezioni, appare sempre più chiaro che la partita che si apre in Europa si gioca contro l’estrema destra nazionalista, populista e razzista, che ci riporterebbe indietro alla barbarie di tempi che credevamo per sempre superati. Per decenni Berlusconi ha gridato contro un ipotetico pericolo rosso e vi ha campato elettoralmente di rendita. Ora scopriamo che il pericolo vero è di segno opposto. Che sia di estrema destra il Fronte Nazionale francese non vi è mai stato dubbio, anche se Marine Le Pen ha attenuato i toni insopportabili del padre. Ed essenzialmente estremista nel suo ipernazionalismo è il movimento di Farage in Inghilterra. Per quanto riguarda l’Italia, le alleanze che si stanno intrecciando tra Lega con FN e UKIP con 5 Stelle, danno la chiara conferma che ambedue sono movimenti visceralmente di estrema destra. Grillo è stato attento a respingere le lusinghe di Marine Le Pen, ma alleandosi con Farage smentisce questa prudenza e va diritto diritto nella direzione in cui è sempre, in realtà, andato: populismo grezzo e biecamente sciovinista.
Questa è la realtà. Almeno ora sappiamo da che parte stanno gli uni e gli altri. Sappiamo che c’è in Italia un 30% circa (Lega, 5 Stelle, Fratelli d’Italia) a vocazione neo-fascista. E sappiamo che c’è un partito democratico forte del 40% dei consensi che, assieme ai suoi alleati del Centro, fa da diga all’ondata nera. In mezzo, con una persistente ambiguità, Forza Italia. Ho già scritto che non si può con leggerezza definire quel partito razzista o irrevocabilmente populista (non lo è sicuramente Raffaele Fitto, trionfatore nelle preferenza in Puglia e oggi difficile da mettere da parte nel partito; ho lavorato per un certo tempo con lui nella Regione ed è tutto fuorché un estremista, e ritengo che a Strasburgo farà il suo dovere da europeo). Ma Berlusconi ha coltivato troppo a lungo l’equivoco, l’essere e il non essere. Che faccia opposizione a Renzi e al PD è legittimo, ma che insegua l’alleanza con Salvini fa a pugni con la sua tanto proclamata natura di liberale e non penso passi bene nell’ala migliore di Forza Italia. In Salvini di liberale non c’è nulla. Se Berlusconi lo è, o crede di esserlo, deve capire che non ci si può dire liberali e ritrovarsi indirettamente alleati con il Fronte Nazionale, che rappresenta il contrario di quanto c’è di bello, di ammirevole e, sì, di liberale, nella Francia che amiamo. Ci rifletta, l’ex-cavaliere, oggi in affanno e alla ricerca di nuovi orizzonti. Da quando dissennatamente uscì dalla maggioranza di Letta, da una parte ha sparato a zero su Grillo e dall’altra parte lo ha rincorso sul suo stesso terreno (attacco alla istituzioni, eurofobia, rivolta fiscale etc.) e non ne ha tratto alcun vantaggio, perché se qualcuno sposa la protesta grillina è ovvio che preferisca l’originale alle imitazioni, specie quando l’imitatore ha un pesante passato di inadempienze da farsi perdonare. Ora vuole ricostituire una forte area moderata e ha ragione. Ma deve avere chiaro che ciò è del tutto incompatibile con le amicizie pericolose o le derive populiste. Se non prende chiaramente posizione su alcuni punti essenziali, il grande partito moderato resterà per lui sempre un miraggio, almeno finché lui resta al centro della scena, e il campo sarà lasciato solo al PD, a cui si affiderà magari “obtorto collo” chiunque ripudia fascismo, populismo, nazionalismo.
Tra i punti chiave su cui FI deve darsi una definizione – senza se, senza ma e sottili distinguo – è l’Europa (e ovviamente l’euro). Perché? Perché l’Europa è ciò che separa liberalismo e populismo, civiltà e sciovinismo, diritti umani e razzismo e, alla lunga, guerra e pace. In Europa è il nostro solo futuro possibile, senza l’Europa tornerebbero i vecchi, orridi fantasmi degli anni Trenta e Quaranta e l’Italia si ritroverebbe sola e debole in un mondo di giganti.
I movimenti neo-fascisti europei sono, per necessità, destinati a cozzare tra di loro, perché il nazionalismo proprio è la negazione di quelli altrui: e, per esempio, si illude davvero il Fronte Nazionale di poter andare d’accordo con un eventuale ritorno nazista in Germania? Non è certo un caso che l’unico punto che per ora li accomuna e sul quale possono collaborare è l’odio per l’integrazione europea. Sanno bene che l’UE è l’argine maggiore all’ultranazionalismo furioso, al populismo sfrenato, al peggiore razzismo.
Essendo oggetto diretto e principale di questa sfida, spetta all’Europa, non solo difendersi ma reagire e contrattaccare. Per questo la fase di revisione che si è aperta con il vertice europeo della scorsa settimana riveste un’importanza cruciale. L’Unione deve uscire dal suo letargo burocratico, prendere in mano la crescita dell’economia e dell’impiego, almeno nell’eurozona (le risorse ci sono, basta volerle e saperle usare), darsi una politica seria e ragionevole sull’immigrazione, essere il motore di programmi di ricerca scientifica e tecnologica che riportino il nostro Continente all’altezza del suo passato, varare un vasto programma a sostegno della formazione professionale a livello europeo, riprendere e ampliare iniziative come Erasmus, mostrarsi coesa ed efficace in politica estera e di sicurezza e, non ultimo, cambiare radicalmente la propria politica di comunicazione, in modo che i popoli la sentano di nuovo vicina. I simboli contano molto e lo sport è un veicolo straordinario di sentimenti di appartenenza comune. Non è venuto il momento che gli atleti europei che partecipano alle grandi competizioni mondiali – pur mantenendo nome e bandiera nazionali – si presentino riuniti in una grande squadra europea, a cui vadano attribuite le vittorie? Se così fosse, alle Olimpiadi l’UE supererebbe di molto Stati Uniti, Cina e Russia. Davvero è tanto difficile mettere da parte i piccoli patriottismi, i campanilismi del passato?
Molto più che in altre occasioni, questa volta è importante la scelta delle persone che dovranno guidare l’Unione nei prossimi anni. In ordine di importanza: Presidenti della Commissione, del Consiglio, del Parlamento, Ministro degli Esteri e Presidente dell’Eurogruppo. Speriamo che le scelte non siano troppo rigidamente condizionate dalle solite, soffocanti, gelosie nazionali o partitiche. Va da sé che i prescelti non verranno dalla luna e dovranno raccogliere il consenso del Consiglio Europeo e poi di un Parlamento in cui solo un serio accordo tra PPE, Socialisti e Liberali permette maggioranze sufficienti. Ma la capacità delle persone di rispondere alle esigenze dell’ora deve essere la considerazione essenziale. E la partita non deve essere solo una gara a chi riesce a piazzare meglio i propri candidati. Renzi ha detto giustamente che “prima vengono le cose da fare” poi i nomi. Questo è il cammino corretto: individuare cosa dovrà fare l’Unione nei prossimi anni e poi cercare le personalità idonee a farlo. In questa scelta, l’Italia ha buone carte da giocare, sia per il prossimo semestre di presidenza, sia per l’autorità di cui il risultato elettorale ha dotato il Premier. C’è spazio per candidati italiani? Il fatto che un italiano, Draghi, occupi uno dei posti di maggior peso effettivo, naturalmente costituisce un limite.
Se dovessi dare un consiglio a Renzi, direi di non puntare a soluzioni di semplice prestigio (come la presidenza del Parlamento, comunque un premio non indifferente). Parta puntando su Commissione o Consiglio e si giochi una delle carte migliori che abbiamo, i due ultimi ex Presidenti del Consiglio, che hanno credibilità e prestigio in Europa. Non faccia lo sbaglio di insistere (e bruciarsi) su persone poco popolari tra i nostri partner europei e che, se eventualmente elette, non farebbero bene il loro mestiere (dobbiamo fare i nomi?). Insomma, lasci da parte le alchimie di partito, ormai è abbastanza forte da farne a meno. La partita aperta è davvero troppo importante, per l’Europa, per l’Italia e anche per lui.
©Futuro Europa®