Un lusso che non ci si può permettere
Prevedere oggi gli sviluppi della situazione italiana alla luce delle vicende di Berlusconi è impresa ardua se non impossibile. Alcune considerazioni vanno però fatte, non fosse altro che per comprendere lo stato delle cose e quindi immaginare una qualche via d’uscita. Sempre che prevalgano il buon senso e la razionalità sull’emotività o interessi individuali.
Stiamo vivendo, forse inconsapevolmente, un’emergenza democratica frutto di una crisi economica generalizzata che non sembra possa essere superata in tempi brevi. Allo stesso tempo assistiamo a un terremoto istituzionale mai conosciuto nel corso della nostra storia repubblicana. Siamo sotto una lente internazionale: all’estero ci si domanda legittimamente cosa accadrà in un Paese come il nostro che certo non è l’ultimo del mondo. Tutto ciò perché un ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, non ha fatto tesoro dell’insegnamento che viene dalla storia dell’umanità. Non ha preso in considerazione che quando non si riesce a sconfiggere elettoralmente un capo carismatico sostenuto da un consenso più che notevole grazie alla sua capacità populista di parlare alla pancia della gente, la via d’uscita è la rivoluzione oppure le soluzioni giudiziarie. Questo è il cinismo della politica, ma così è.
Avrebbe fatto bene il Cavaliere a comprendere da tempo il clima di avversità che lo circondava e a compiere di conseguenza un passo indietro dopo essere stato protagonista della vita politica italiana per ben vent’anni. Per un verso Chirac e Kohl che hanno saputo uscire di scena al momento giusto, per un altro tutti i capi di Stato abbattuti dalle primavere arabe e travolti dalla loro ostinazione, non gli sono stati da esempio. Non sappiamo quanto Silvio Berlusconi sia realmente colpevole o innocente, ma se la regola sulla quale si basa una società è quella di ritenere valide e inoppugnabili le sentenze passate in giudicato, non possiamo che attenerci a queste.
Capisco le reazioni emotive del Pdl soprattutto in questi giorni. Non approvo però gli sciacalli che addentano la preda ferita a morte. E’ vero, in questa fase non esistono leadership autorevoli in grado di prendere in mano la situazione, ma proprio per questo l’unica soluzione vera, difficile, però razionale è quella di pensare al bene del Paese con un sussulto d’orgoglio di tutta la classe dirigente attuale e in primo luogo di quella che sostiene il Governo Letta. Ne va della sua credibilità presente e futura.
L’Italia già così provata non può permettersi il lusso di un vuoto politico, di una crisi al buio che destabilizzi tutto e tutti. E allora centrodestra e centrosinistra hanno il dovere di ritrovare una loro unità interna che sia in grado di rendere forte e autorevole la politica. Il tutto fuori da vecchie diatribe, da antiche recriminazioni, dall’illusione di carpire un consenso elettorale con proclami altisonanti. I Paesi, le nazioni, nei momenti di maggiore crisi si salvano se sanno ritrovare un’unità di fondo ideale e operativa per superare quantomeno l’emergenza.
A cosa serve nel centrodestra continuare ad acuire le attuali divaricazioni tra Pdl, Scelta Civica, Udc, eccetera? A chi giova nel centrosinistra vivere una stagione sempre tesa al loro interno tra renziani, bersaniani, lettiani, giovani turchi, eccetera? Quale esito può avere una così complessiva disarticolazione delle posizioni politiche? Chi ha compiti istituzionali deve pensare prima al bene del Paese come fa il nostro presidente Napolitano che, fuori da ogni mischia, sollecita responsabilmente, quotidianamente, ad avere nervi saldi e pensare solo alla nostra società tormentata da un malessere economico, sociale e morale che non ha eguali nella nostra storia.
Vuole essere questo, dunque, un appello di quanti, come me, avendo l’onore e l’onere di rappresentare l’Italia in Europa, sentono l’irrinunciabile esigenza di stimolare lungimiranza da parte di tutti coloro che a vari livelli rappresentano le nostre istituzioni. Lo dobbiamo all’Italia, agli italiani, alle nuove generazioni, a noi stessi.
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