Potitica e Giustizia
Vengo da una famiglia di giuristi, per cui la sovranità della legge e il rispetto per la Magistratura chiamata ad applicarla sono valori essenziali, rafforzati naturalmente dagli anni di studio, quando alla Sapienza insegnavano maestri del Diritto come De Ruggiero, Ambrosini, Maroi, De Marsico, Leone, Segni, Calasso. Per questo faccio molta fatica ad immaginare che tre giudici di Tribunale, tre di Corte d’Appello e tre di Cassazione, assieme a un buon numero di PM e di altri giudici che si sono occupati di reati attribuiti a torto o a ragione a Silvio Berlusconi, facciano parte di una bieca cospirazione politica volta ad abbatterlo, senza nessun rapporto con la realtà dei fatti contestatigli. Certo, nessuno può escludere errori o, peggio, pregiudizi ideologici da parte dei giudici, esseri umani anch’essi come tutti. E perciò auspichiamo con tutte le forze una riforma della Giustizia che ponga veramente sullo stesso piano accusa e difesa (cosa non avvenuta nel caso del processo Mediaset) e introduca qualche tipo di responsabilità dei giudici per dolo o colpa grave, come richiesto dai cittadini in un ormai lontano referendum, ora ripreso per iniziativa dei radicali. Senza, tuttavia, scalfire l’indipendenza della Magistratura rispetto agli altri Organi dello Stato, che è un bene supremo: perché – e l’esempio di Paesi in cui la Magistratura è sottoposta al potere politico lo conferma – essa è l’ultima garanzia, forse l’unica vera, contro corruzione, malversazione e abuso di potere che sono, purtroppo, parte della natura umana.
Silvio Berlusconi solleva forti passioni di amore e rifiuto, molto di piú di qualsiasi altro leader repubblicano. Questa personalizzazione estrema, questa polarizzazione violenta che ci tormenta da vent’anni pro e contro un uomo e la sua maniera di far politica non sono, a me sembra, un bene per la democrazia. Ma i fatti sono fatti e va dunque preso rispettosa nota delle manifestazioni di sostegno e vero affetto dei suoi seguaci. Lui ha il sacrosanto diritto di proclamarsi innocente e cercare l’abbraccio del suo popolo, e i suoi sostenitori hanno il diritto di considerarlo vittima di una Giustizia politicizzata. A loro viene voglia di dire però che in uno Stato di Diritto le sentenze definitive si possono certo criticare, ma alla fine vanno applicate, anche se non ci piacciono, anche se vorremmo fossero diverse da quello che sono, se non altro per il rispetto di noi stessi e l’immagine che di noi e della nostra Storia politica diamo al mondo. I propositi – le minacce – qua e là riaffioranti di cancellare l’accaduto, o di ottenere una vendetta, attraverso una riforma essenzialmente punitiva della Magistratura, possono forse servire emozionalmente a far superare un momento di impotente amarezza, ma sono inutili: perché in questo Parlamento i numeri mancano per misure quali quelle che la Destra vorrebbe e, comunque, anche una loro approvazione non potrebbe cancellare l’accaduto e restituire al Cavaliere la verginità giudiziaria perduta. Solo una grazia concessa dal Capo dello Stato potrebbe riuscirci, ma è cosa che entra nelle facoltà più dirette, intime e delicate del Presidente Napolitano, e sarebbe scorretto cercare di forzarlo in un senso e nell’altro. Sarà lui e lui solo a decidere, nel complessivo interesse dello Stato di cui egli è il maggiore e talvolta l’unico vero interprete.
Tutto il resto è metagiuridico, rientra nel terreno, ovviamente legittimo, della politica. Politica però dovrebbe essere, specie in una fase cosí torturata della vita nazionale, soprattutto governare al meglio nell’interesse di un Paese da troppo tempo (anche per le omissioni di Berlusconi) fermo o in recessione. Questa dovrebbe essere la stella polare di tutte quelle forze responsabili che si propongono come protagoniste dell’azione esecutiva e legislativa. Il resto, compresi gli inetressi, le emozioni, le passioni, pur umanamente comprensibili, di una persona, dovrebbero essere del tutto secondari. Perciò rassicura vedere che Berlusconi, distanziandosi dai falchi del suo partito, se da una parte riconferma il suo sacrosanto diritto a restare attivo e determinante nella vita politica italiana, dall’altra non cede alla facile tentazione di far saltare tutto e riafferma il sostegno al Governo e si comprende che il Premier Letta tiri sospiri di momentaneo sollievo. Ma non basterebbe se poi Berlusconi e il PDL insistessero in una guerriglia che non potrebbe che rendere travagliata e alla fine impossibile la vita del Governo. Un Governo che è nato e si giustifica nell’emergenza e deve fare una serie di cose precise e indispensabili, ma ha bisogno per questo di un minomo di concordia tra le forze che lo sostengono. Se il PDL vuole confermarsi davanti agli italiani forza responsabile e credibile, deve sostenerlo sinceramente, senza la tentazione di rotture e polemiche dirette a un reddito politico di breve termine. E lo stesso vale per il PD. Mi sembra che Epifani, e con lui altri dirigenti democratici, siano persone equilibrate e attente all’interesse generale, ma neppure loro rinunciano a cadere nei colpi bassi, e non riescono a tenere sotto controllo quelle ali impazzite del loro partito – a cominciare da quel Bersani che è il vero colpevole di una situazione critica e pare cercare impossibili revanches – che in fondo in fondo vorrebbero far saltare il banco, magari rincorrendo l’illusione perversa di un accordo con i grillini.
In sostanza, alle componenti di questa strana maggioranza si chiede di smettere di fare politica politicante e di rispettare la regola numero uno di una coalizione: il rispetto reciproco, compreso quello delle persone. Questo chiede la gente, stanca di un ventennio di liti da bettola, e questo indica con estrema chiarezza il Capo dello Stato. Anche a Enrico Letta spetta dare un contributo a questo desiderabile clima. Fa già molto con la sua pazienza, la sua cortesia, la sua capacità di smussare (leggo con molto stupore un fondo di Galli della Loggia in cui lo invita a smettere con questi “vizi democristiani”, che sono invece l’ABC della convivenza civile nella politica). Ma il contributo maggiore lo darà continuando a fare quello che sta facendo, e facendo anche di piú e meglio. Perché altrimenti non ci sarebbe uscita dal tunnel.
Nessuno pensa o può illudersi (neppure lui) che il suo Governo possa durare tutta la Legislatura, o la maggior parte di essa. Prima o poi, esaurito il compito che l’Esecutivo si è prefisso, si dovrà tornare alle elezioni, possibilmente con una diversa legge elettorale, perché la dialettica maggioranza-minoranza e l’alternanza tra loro sono il sale della democrazia. Ma nel frattempo, signori, per favore, un po’ di serietà! Un po’ di contegno! Un po’ di rispetto per gli italiani e per i loro problemi!
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