Juncker, un buon inizio
Il Presidente del Parlamento Europeo, Martin Schulz, ha giustamente commentato che l’elezione di Jean-Claude Juncker alla Presidenza della Commissione Europea ha rappresentato, per il modo in cui è avvenuta, un fatto storico. Storico perché per la prima volta un Presidente è stato designato dal Consiglio Europeo a maggioranza, superando il paralizzante unanimismo che di fatto portava a cedere ai veti di pochi, specie inglesi, e in passato ha prodotto scelte di basso profilo, come quella dello scolorito Barroso. E storico perché per la prima volta il Parlamento ha fatto sentire con autorità ed efficacia la sua voce, dettando di fatto una scelta che corrisponde al risultato elettorale di maggio e quindi alla volontà dei cittadini europei. Un metodo, dunque, doppiamente democratico, che si imporrà d’ora in poi se si vuole uscire dall’inerzia dei veti incrociati. Certo, subire le decisioni di una maggioranza alle volte può risultare sgradevole (non per niente, a tuonare contro è l’Inghilterra, eterna minoritaria in Europa, ma potrebbe capitare anche a noi) ed è quindi giusto che prima di arrivarci si esplorino le vie di un possibile consenso, ma alla fine un organismo che vuole funzionare non può fare a meno di decidere con gli strumenti previsti da regole comunitarie da tutti liberamente accettate.
Ma questa occasione di democrazia sarebbe stata sprecata se Jean-Claude Juncker avesse volato basso quanto il suo predecessore. Così, per fortuna, non è stato. Il suo discorso al Parlamento Europeo non è stato (né poteva essere) rivoluzionario ma non è stato neppure quello di un burocrate amministratore dell’esistente; coniugando equilibrio e apertura, è stato il discorso di uno statista ambizioso, con una personalità propria, conscio delle esigenze e delle aspettative del momento e deciso a lasciare la propria impronta. Vediamone i punti che più interessano il nostro Paese.
Rigore e flessibilità. Juncker ha ripreso con decisione il documento approvato a Ypres dal Consiglio Europeo, nei termini che aveva anticipato al gruppo socialista del PE. Da una parte ha ripetuto, come non poteva non fare, l’esigenza di rispettare il rigore dei bilanci, ricordando che sui debiti non si costruisce nulla, dall’altra ha ribadito che vi sono nel patto di stabilità margini che consentono una oculata flessibilità e che vanno sfruttati e impegnandosi personalmente a farli valere.
Crescita e occupazione. L’accento che ha messo il neo-Presidente su questo punto ha corrisposto alle attese (soprattutto dalla componente socialista del Parlamento, ma anche da non pochi popolari e liberali). Nelle parole di Juncker suonava una convinzione vera (confortata dal suo forte richiamo all’economia sociale di mercato), non una fioritura retorica diretta a captare le simpatie della sinistra. A confermarlo sta l’annuncio di un piano di investimenti pubblici-privati per trecento miliardi di euro nei prossimi tre anni, da concretarsi entro febbraio prossimo. Un piano che dovrebbe centrarsi su infrastrutture, trasporti, energia e ricerca, con il dichiarato obiettivo di tornare a rendere l’Europa competitiva e attraente per investimenti e lavoro. Un rinnovato e ampliato piano Erasmus, che dagli studenti si estenderà dal prossimo anno anche ai lavoratori (era una cosa che in queste note avevamo più volte sollecitata).
Anche su questo punto, che giustamente sta a cuore all’Italia, il neo-Presidente è stato esplicito nell’affermare che si tratta di un problema comune a tutta l’Unione. Sarà la scelta del Commissario straordinario, che egli ha preannunciata, a dare il senso del nuovo impegno della Commissione in questo settore.
Nel complesso, dunque, un pacchetto ambizioso, che viene incontro a istanze italiane e va visto in rapporto anche ad altre cose che Juncker ha dette: la sua difesa della moneta comune (rivendicando il fatto che, durante la crisi degli ultimi anni, senza l’euro si sarebbe scatenata una guerra monetaria di tutti contro tutti e nessuna operazione di salvataggio sarebbe stata possibile); il riconoscimento di un deficit di comunicazione da parte dell’UE verso i cittadini, un vuoto da colmare rapidamente. E, non ultimo, il suo scatto di orgoglio (particolarmente benvenuto ed efficace) quando, rispondendo alla dichiarazione di voto contrario di Marine Le Pen, l’ha ironicamente ringraziata dicendo “Non voglio il voto di chi rifiuta tutto e predica l’odio che esclude”. Bene così, Presidente Juncker, così parla un democratico che non si lascia intimidire dai rinascenti fascismi.
Ci sarebbero da citare molti altri punti di un discorso lungo e complesso, ma quelli ricordati bastano a dare il senso di una statura personale e di un impegno che ora dovrà tradursi nei fatti. Certo, non tutto dipenderà da Juncker: l’Unione è un meccanismo complicato mosso da molte rotelle, che non girano tutte nello stesso senso. Ma i poteri e l’influenza della Commissione e del suo Presidente sono grandi e, se usati con equilibrio, saggezza e decisione, possono davvero contribuire a cambiare le cose.
Auguri, perciò, al nuovo Presidente, con la tranquillità di vedere l’avvenire della grande avventura europea nelle mani sicure di un Popolare.
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