Inciviltà di una certa politica

Lo spettacolo che stanno dando parte delle opposizioni nel dibattito al Senato sulle riforme non è dei migliori. Intendiamoci, il contrasto anche acceso, anche aspro, su temi di importanza centrale è il sale della democrazia e la nostra storia repubblicana ne registra alcuni di altissimo profilo, come quelli sulla ratifica dell’Alleanza Atlantica o del Trattato di Roma. Allora, peraltro, si contrapponevano ideologie, strategie e visioni del mondo radicalmente opposte e il dibattito era di fondo. Oggi si ha invece l’impressione che si tratti di tattica. Il Governo, o una parte politica, propongono una cosa, la parte opposta dice di no anche se si tratta delle stesse cose che questa parte proponeva fino a poco prima.

Un inedito arco formato da grillini, Sel e Lega sta usando tutti i peggiori strumenti disponibili, dall’ostruzionismo agli insulti, per ritardare e ostacolare una processo riformatore che pure è da tempo ritenuto necessario per l’Italia (e che una maggioranza costituita dal “mainstream” di PD, FI e NCD sostiene), cercando  anche di trascinare nella rissa il Presidente della Repubblica, il cui ruolo non può che essere quello di un arbitro imparziale, solo interessato al corretto funzionamento delle istituzioni. Per fortuna Giorgio Napolitano mostra sempre di più il suo equilibrio e il suo senso dello Stato e oppone la pacatezza della ragione ai deliri di chi lo accusa di tutti i mali. Il lato peggiore è che le orde grilline, confermando la natura illiberale del loro DNA, rifiutano qualsiasi ragionevole dialogo e non accettano la norma numero uno di una democrazia: la maggioranza decide. Il loro comportamento è di una scompostezza indegna di un Paese civile e ricalca i peggiori esempi che ci dà il rinato neo-fascismo. Il fatto che si ammantino di difesa della Costituzione (proprio loro, che d’altro lato contestano a Napolitano di aver applicato correttamento la Carta Magna designando in successione tre Presidenti del Consiglio indicati dai partiti e muniti di una maggioranza parlamentare) rende la cosa ancor più insopportabile.

Resta tuttavia il fatto che una buona parte della responsabilità per il percorso accidentato della riforma lo porta lo stesso Matteo Renzi e con lui Silvio Berlusconi. Con l’ottimismo della volontà, il Premier si è proposto di svecchiare le nostre istituzioni e questo trovando nel Cavaliere una sponda necessaria ma esigente. Ma, come abbiamo già scritto, sarebbe stato meglio se fossero stati accordati e indicati alcuni obiettivi irrinunciabili: superamento del bicameralismo, riduzione del numero dei parlamentari, snellezza del processo legislativo. Lasciando al libero gioco parlamentare la definizione di punti non secondari quale quello delle preferenze nella legge elettorale e del modo di elezione dei Senatori. Non perché ci sia niente di illegittimo o antidemocratico nell’elezione indiretta. Essa è praticata sia in Germania che in Francia, democrazie mature: in Germania sono le Assemblee dei Lander a scegliere i membri del Bundesrat, in Francia è un collegio di circa 150.000 “grandi elettori” (consiglieri regionali, provinciali e comunali e deputati nazionali). In Inghilterra i membri della Camera Alta sono addirittura nominati dalla Regina su proposta del Governo e solo in Spagna l’elezione è diretta.

Si può dunque discutere su questo punto, ma si tratta indubbiamente di un tema di notevole delicatezza istituzionale sul quale, francamente, il Governo non dovrebbe prendere posizione, lasciandolo alla sensibilità delle Camere. Una maggioranza a favore di una delle due soluzioni vi si manifesterebbe con certezza e il Governo non si esporrebbe all’accusa di violenza istituzionale o addirittura di “colpo di Stato”, smentito dalla previsione esplicita di un referendum popolare di conferma che ridarà comunque la parola ai cittadini. Speriamo che nelle prossime settimane prevalga un po’ di buon senso e di rispetto del Paese, stanco dell’inciviltà e della tragica autoreferenzialità di certa politica.

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