L’inverno arabo
Sono andato a rileggermi una nota scritta qualche anno fa, al tempo della “Primavera araba”, quando il mondo intero seguiva con apprensione ma anche con speranza il grande moto liberatore che percorreva il mondo arabo e pareva promettere una nuova aurora di democrazia, e vi ho ritrovato tutti i miei dubbi di allora. Conosco la maggior parte dei Paesi arabi e, salvo pochissimi, non mi sembravano, per la loro storia e la loro cultura, ancora maturi per una democrazia occidentale, almeno finché non sapranno vincere il maggior ostacolo che viene dall’esistenza in seno ad essi di una forte componente fanatica, che interpreta i dettami più oscurantisti del Corano e della Sharia alla lettera e vuole imporli anche a quelli che non li accettano.
È da tempo che il tanto vituperato Occidente ha conquistato valori “laici”, sulla scia di un grande movimento di pensiero quale l’Illuminismo, e la stessa Cristianità, salvo alcune frange rigoriste tipo Opus Dei, ha rinunciato a imporre fanaticamente il suo credo con armi secolari. È questa la grande differenza e – diciamolo senza preoccuparci di essere accusati di razzismo dalle anime belle delle reti sociali – di superiorità della civiltà occidentale. Non è una civiltà perfetta, ha partorito nel suo seno mostri come il Nazismo e il Razzismo e alberga forme di intolleranza che quotidianamente combattiamo; ma francamente è difficile mettere persino i Salvini, i Grillo e la stessa Le Pen, per spregevoli che siano le loro idee, sullo stesso piano di pericolosità di quanti nell’Islam predicano e praticano contro di noi odio e distruzione, anche fisica, Non è solo il delirante leader del Califfato Islamico, Al Baghdadi, a minacciare addirittura Roma. La predica contro l’Occidente e tutto quello che rappresenta è quotidiana e diffusa nelle moschee e nelle scuole coraniche, dovunque esistano masse islamiche diseredate e frustrate, non solo in Pakistan, in Medio Oriente, ma anche a casa nostra, nella nostra bella e fragile Europa.
La Jihad islamica occupa ormai il cuore della Mezzaluna fertile, minaccia il Levante, compie orrori e stermina cristiani in Africa. Si propone di cancellare Israele dalla faccia della terra e sta tentando di installarsi sulle rive del nostro Mediterraneo. Ci ha provato in Egitto e in Algeria, dove è stata fermata soltanto grazie alle Forze Armate. Ci ha provato in Siria, provocando una repressione sanguinosa. Per sua colpa la Libia è nel caos, ed è questo un test di particolare gravità per l’Italia, non solo per i rapporti economici e per la presenza di tanti nostri connazionali e imprese, o perché dalle coste libiche partono migliaia di migranti che vengono a finire da noi o muoiono in mare; ma perché è storicamente e geopoliticamente di nostra diretta responsabilità. Se non siamo capaci di prevedere e influire su quello che vi succede, abbiamo poche possibilità di pesare in Europa e nel mondo.
Al tempo della campagna aerea contro Gheddafi, scrivevo cose che paiono, ahimè, profetiche (quanto preferirei essermi sbagliato!): il regime di Gheddafi è repressivo e corrotto, la gente ne è stanca, ma attenti a che chi verrà dopo non sia più pericoloso per i nostri interessi e per la nostra sicurezza. Bisognava difendere Gheddafi allora, come avrebbe voluto Berlusconi? No, non era possibile. Il regime era ormai marcio, lì come in Tunisia e in Egitto, e l’Occidente era troppo preoccupato di non perdere la propria immagine nei confronti delle masse popolari che si sollevavano. Ma ci fu, soprattutto per colpa della Francia (e sappiamo ora che Sarkozy era mosso da motivi poco confessabili) troppa precipitazione. Si sarebbe dovuto garantire al meglio possibile il dopo (una forma sarebbe stata di puntare, non su una dubbia coalizione di oppositori civili ma sulla parte sana delle Forze Armate). Ma troppo spesso gli Occidentali si muovono rispondendo alle emozioni di un’opinione pubblica in parte artefatta e poi considerano compiuta una missione una volta conquistata la vittoria sul campo, senza saperne guidare i seguiti. Sono errori che hanno fatto gli Stati Uniti in Irak e in Afghanistan (come sempre, i libri di Bob Woodward lo documentano in modo agghiacciante) e sono errori che stanno costando carissimo. Lo stesso errore si sta ripetendo in Libia e ci riguarda molto da vicino.
Di fronte a quello che sta accadendo sotto i nostri occhi, che cosa stiamo facendo? Cosa stanno facendo o pensano di fare l’Unione Europea e la NATO? A parte qualche movimento della diplomazia anglo-americana, non molto, per ora. Cosa sta facendo il Governo italiano nei limiti, pur ridotti, delle sue possibilità? Leggiamo molte espressioni di preoccupazione, sappiamo che Renzi si parla al telefono con Obama e poi? Che fanno i nostri servizi? Hanno sul posto mezzi di informazione e di azione? E le nostre Forze Armate, come potranno garantire la nostra sicurezza ove le cose dovessero volgere al peggio e ci trovassimo un regime ostile nella Quarta Sponda? Come la mettiamo con i nostro aerei da caccia? E quelli che ritengono la NATO superata e da abolire, che dicono ora?
Nell’immediato, è ovviamente legittimo porsi la domanda: d’accordo, ma in concreto, cosa si può fare? La prima cosa, direi, è rendersi conto che la minaccia islamica non riguarda solo l’Occidente, ma la Russia, l’India, la Cina, la Turchia, in certa misura lo stesso Iran, isola sciita in un mondo sunnita, e superare tutte le dispute e le diffidenze per concertare con quelle potenze un piano d’azione serio ed efficace su scala mondiale, a cominciare dalla necessaria lotta al terrorismo e, ove occorra, da misure di contenimento militare (col buonismo della pace a tutti i costi, sia detto con il dovuto rispetto per Papa Francesco, non si va da nessuna parte). Dobbiamo risolverci a mandare truppe? Forse no, forse è sufficiente appoggiare in tutti i modi quelle forze e quei regimi (per poco gradevoli che ci paiano) che in seno al mondo arabo si oppongono al fanatismo della Jihad: in Irak, in Egitto, in Libia, in Nigeria e altrove.
E un’altra cosa: quello che sta facendo Israele a Ghaza sconvolge la coscienza universale, ma non dimentichiamo che Israele lotta ogni giorno per la sua sopravvivenza, per la vita dei suoi cittadini tra cui ci sono vecchi, donne, bambini, che non hanno meno diritto dei palestinesi a non morire sotto i razzi e le bombe. E non lasciamolo solo, anche perché, accentuandone l’isolamento, lo spingeremmo a gesti anche più estremi.
Fare fronte alla minaccia dell’estremismo islamico è una responsabilità che pesa oggi soprattutto su Governi più orientati a sinistra, sia a Washington che a Roma, Parigi e in parte a Berlino. Se si rifiutassero di assumerla aumenterebbero la tentazione di rifugiarsi nella braccia di quelle forze che propongono e promettono l’insania del “pugno duro”.
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