C’è chi guadagna dal default argentino

Intanto cominciamo a tradurre la parola inglese “default”, il dizionario la traduce come insolvenza, morosità, contumacia, che, con il tempo, quando i soggetti sono gli Stati, ha finito per significare fallimento o bancarotta dello Stato. Forse è bene un breve riepilogo dei fatti passati, altrimenti rimane difficile comprendere quelli odierni. Negli anni novanta. L’Argentina mette addirittura in costituzione che un peso argentino vale un dollaro, per sconfiggere l’iperinflazione. All’inizio funziona, poi i costi della parità vengono a galla, quando, non riuscendo più ad avere prestiti, il parlamento, in mezzo agli applausi, dichiara il default, ovvero la bancarotta, dell’Argentina. Sono nei libri di storia i danni del fallimento per il paese, la società argentina torna indietro di decenni sul piano sociale ed economico, durissimo il colpo per le classi medie e per i ceti popolari. L’Argentina tenta di uscire dal baratro offrendo ai detentori dei cento e più miliardi di dollari di buoni un accordo che prevede il pagamento solo del 30% del valore facciale, con conseguente perdita del 70% del valore dei buoni stessi. Per i peronisti che governano il paese i possessori dei buoni sono solo sciacalli che intendevano derubare il paese, non piccoli risparmiatori, compresi circa 400.000 italiani, che in tutto il mondo avevano visto l’opportunità di guadagnare qualche soldo in più.

Nel 2005 e nel 2010 l’Argentina riesce a far accettare la sua proposta dal 92% dei detentori dei buoni, non preoccupandosi minimamente di chi rimane fuori, e depositano gli accordi nelle banche di New York per dare più prestigio alla loro offerta. Ma sarà proprio quella piccola parte di buoni di chi non ha accettato la proposta argentina, acquistati da alcuni hedge-fund, che darà inizio nei tribunali americani ad una lunga battaglia per riavere il valore facciale più gli interessi maturati. Due anni dopo, un giudice di New York, Thomas Griesa, emette la sua sentenza, gli argentini non possono pagare gli interessi dei buoni ristrutturati se non pagano anche il dovuto agli hedge fund, o “fondi avvoltoi” come li chiamano gli argentini, circa 1600 milioni di dollari.

Seguono due anni di polemiche e un ricorso alla Corte Suprema degli USA che, nonostante il governo USA abbia espresso appoggio all’Argentina, respinge il ricorso di questo paese. Trattative e incontri non risolvono nulla, l’Argentina non vuole pagare i “fondi avvoltoio”, manda in America solo i soldi per pagare i fondi ristrutturati nel 2005 e 2010, il giudice Griesa li blocca e così l’Argentina entra in default. La Presidenta si sgola che l’Argentina non è in default perché ha mandato i soldi per pagare i fondi ristrutturati, il fatto è che questi soldi non sono arrivati agli aventi diritto e pertanto per il mondo economico e finanziario internazionale il paese è in default. Gli esperti prevedono una inflazione del 40% all’anno, in aggravamento della recessione, il dollaro ufficiale è già salito del 51%, quello parallelo è a quasi il 13%, la produzione industriale è caduta del 2% e ci sono in previsione migliaia di licenziamenti. Il nuovo default non produrrà solo nuovi poveri, ma forti guadagni per i detentori dei CDS, sigla inglese per indicare buoni assicurativi in caso di default del paese.

Chi siano i padroni, quante le somme investite, mistero, si tratta di contratti tra privati che non sono conoscibili, molti avanzano voci su ambienti kirchneristi. A New York, sede dell’ISDA, l’ente che decide quando scatta il default, sarebbe già avviata la pratica per pagare mille milioni di dollari. Ma c’è dell’altro, c’è una clausola nei buoni ristrutturati nel 2005 e nel 2010 che viene chiamata del “pagamento anticipato”, basta che il 25% dei detentori dei buoni in default lo chieda e lo Stato argentino dovrà rimborsarli. Voci anche qui parlano di un hedge fund vicino ai peronisti che avrebbe fatto grandi acquisti di buoni ristrutturati. Ma anche nel grande disastro del 2001 ci furono argentini che guadagnarono fortune sulla parità con il dollaro. Per circa dieci anni, molti argentini prendevano con i loro pesos grandi quantità di dollari e li portavano nei luoghi più diversi, dal materasso alle banche argentine, ma soprattutto nei paradisi fiscali. Quando nel 2001-2002 ci fu il disastro e il governo “pesificò” i conti delle banche argentine, molti piansero lacrime amare, altri no, avevano decine e decine di miliardi di dollari al sicuro in banche nei paradisi fiscali.

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