Jihad, assenti ingiustificati e grande coalizione

I miei articoli sulla Jihad mi hanno valso consensi e qualche obiezione. Quella più seria verte su un punto: opporsi all’aggressione jihadista spetterebbe all’ONU, perché invece lo fanno (uno ha scritto: “se ne arrogano il diritto”) Stati Uniti ed Europa? Rispondo: sulla carta spetterebbe sì all’ONU, ma l’ONU è visibilmente inerte. Che dovremmo fare allora? Incrociare le braccia e guardare dall’altra parte? Invito chi mi ha scritto ad andarsi a leggere un articolo, come sempre lucidissimo, di Sergio Romano sul Corriere di mercoledì scorso, dal titolo “Assenti ingiustificati”. Gli  assenti sono l’ONU e la Lega Araba. Quanto a quest’ultima, l’assenza – se non giustificabile – è facile da spiegare se si pensa che vari membri di essa (Qatar e altri Paesi del Golfo) sono notoriamente i finanziatori della jihad sunnita. Si parla di un “tesoro” di due miliardi di dollari messo a disposizione dell’ISIS da parte di “uomini e gruppi d’affari” di quei paesi (certo non contro la volontà dei rispettivi governi). Per quale ragione? Ma perché per quegli Stati i nemici sono l’Iran e la versione sciita dell’Islam, e tutti quelli che li combattono vanno sostenuti e aiutati. Che questo alimenti la più oscura barbarie non credo turbi più di tanto i sonni degli emiri. però forse è venuto il momento per l’Occidente di parlare chiaro: non si può essere nostri amici – ospitare, come il Qatar, grandi basi militari USA – e sussidiare il terrorismo.

Quanto all’ONU, non è da oggi che se ne constata l’inefficacia nel far fronte alle aggressioni e alle minacce. Il Consiglio di Sicurezza, a cui il Titolo V dello Statuto affida questa responsabilità, funziona solo con il consenso di tutti i cinque membri permanenti. Questo consenso c’è stato solo in casi e momenti del tutto speciali, ma per lo più è mancato e continua a mancare. Gli Stati Uniti, quando sono governati dai repubblicani, evitano il più possibile le Nazioni Unite, ma sono Russia e Cina quelle che più sistematicamente ne hanno paralizzato l’azione. E anche se il CdS riesce a trovare un accordo per un intervento militare, all’ONU manca poi lo strumento e deve rivolgersi ai Paesi membri (non è il frutto di disegni perversi, è scritto nello Statuto). Quando si tratti di operazioni di guerra, non di peace-keeping a basso rischio, è abbastanza comprensibile che i Paesi che impegnano le proprie forze, più che al comando dell’ONU preferiscano affidarsi a quello nazionale o di un’organizzazione collaudata come la NATO. Non è certo senza ragione che questa si sia affermata spesso come l’unico possibile braccio armato dell’ONU in situazioni conflittive. Per gli Alleati che impegnano proprie forze, questo risulta conveniente, perché la condotta anche politica delle operazioni resta nelle mani del Consiglio Atlantico al quale essi partecipano.

Il fatto è che la NATO funziona molto meglio dell’ONU, perché ha molto maggiore coesione e una struttura di comando solida e sperimentata. Negli anni Novanta, ciò è stato ampiamente dimostrato nell’ex-Jugoslavia, dalla Bosnia al Kossovo. In quelle circostanze,  parte del dramma  stava proprio nella penosa incapacità dell’ONU a condurre azioni efficaci sul terreno e fu questa incapacità che costrinse gli Alleati (francesi compresi, evento inedito e significativo) a prendere le cose in mano, dopo i tristi episodi dei 250 uomini delle Forze di Pace delle NU presi in ostaggio e ridicolizzati dai serbo-bosniaci e del massacro di Srebrenica con il contingente olandese che guardava dall’altra parte. Fu la NATO con i suoi aerei, non l’ONU, a liberare Sarajevo dalla morsa serba. Fino al 1995 l’Alleanza si era limitata a mettere la proprie forze a disposizione dell’ONU e a farne applicare le decisioni e nessuno a Bruxelles si augurava di dover subentrare alle Nazioni Unite (non era questa la temperie in una Washington governata da Clinton, che resistette fino all’ultimo a un coinvolgimento diretto, a cui si decise su pressione di Chirac). Ma succedevano cose assurde: i nostri aerei erano chiamati ad intervenire quando l’artiglieria e i carri serbi attaccavano. La regola era che il comandante ONU sul terreno notificasse l’evento al comando di Zagabria, che a sua volta ne informava New York. Solo da lì poteva partire la richiesta d’intervento NATO. I vari passaggi  richiedevano almeno  un’ora e quando gli aerei NATO giungevano sul posto, i carri serbi si erano già dileguati. E tuttavia, continuammo fino all’ultimo a cercare una legittimazione ONU e la decisione di inviare in Bosnia truppe di terra sotto comando NATO (con la partecipazione, altro fatto significativo, di un contingente russo) in applicazione degli Accordi di Dayton fu presa nel quadro di una specifica risoluzione del Consiglio di Sicurezza.

Per il Kossovo le cose andarono diversamente e Sergio Romano scrive che la decisione delle potenze occidentali di scavalcare il Palazzo di Vetro contribuì all’inefficacia successiva dell’ONU. In verità, le nostre rappresentanze a New York fecero ogni sforzo possibile per ottenere una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ma la Russia – con l’appoggio cinese – non volle (e forse, obiettivamente, non poteva) autorizzare un’azione ostile a un Paese come la Serbia, storicamente suo cliente, e a un Governo che restava suo amico. Che si sarebbe dovuto fare allora? Assistere inerti all’esodo e alla persecuzione di centinaia di migliaia di kossovari? La copertura di una risoluzione Onu però fu richiesta, e ci fu, dopo la capitolazione di Milosevic, per l’invio di forze NATO in Kossovo.

Dunque, tornando all’oggi, invocare l’ONU è giusto ma nella pratica serve poco. Il testimone finisce col passare il più delle volte, che ci piaccia o no, a Stati Uniti ed Europa. Certo, è meglio se non agiscono da soli e Sergio Romano ha perfettamente ragione a scrivere che per fermare la jihad occorrerebbe una coalizione di tutti gli interessati, sull’esempio di quella messa in piedi dal Presidente Bush per il Kuwait: non solo Stati Uniti ed Europa, ma questa volta anche Russia, Cina, India, Iran. Scrivo le stesse cose sin dalla prima nota dedicata al tema e quindi sono completamente d’accordo. Devo pensare che a Washington e altrove questa esigenza sia ben presente e spero che la cooperazione antiterrorista in atto tra servizi di intelligence, non solo occidentali, si imponga a livello politico e strategico. Ma su un accordo con la Russia pesa il conflitto in Ucraina. La politica di Putin e le sanzioni occidentali (giuste o sbagliate che siano: forse quelle di ordine politico e diplomatico, anche dure, sarebbero state sufficienti) non facilitano un’intesa,  pur necessaria di fronte a un pericolo comune. Con l’Iran, protagonista ineliminabile nella Regione, ci vorrà molta intelligenza e mutua buona volontà per superare ostacoli che hanno radici ormai lontane e profonde. Occorrerebbe un ripensamento della strategia diretta a contenere il regime di Teheran, ripensamento non facile se si tiene conto dei tanti fattori in gioco.

Nel frattempo, tocca agli occidentali reagire come si può alla barbarie, ed è causa di qualche sollievo che l’Europa sia riuscita a mettersi d’accordo su qualcosa e che l’Italia faccia la sua parte, contro i piagnistei vendoliani e i deliri grilleschi. Ma anche qui, bisogna guardare alla realtà. Piacerebbe a tutti che l’Europa fosse in grado di agire da protagonista, ma come si può, in momenti di crisi economica, chiedere ai governi europei di assumersene il costo? Abbiamo ancora bisogno degli Stati Uniti, come altre volte nella nostra storia. Questo può farci o meno piacere, ma il primo dovere è evitare che il mondo divenga una giungla selvaggia e un inferno per i nostri figli.

©Futuro Europa®

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Un Commento

  • Caro Jannuzzi, complimenti per i Suoi articoli che leggo sempre con interesse ed attenzione. Non si preoccupi per qualche dissenso. Ho sempre diffidato in politica dei “duri e puri”…..!
    Con rinnovata stima.
    Potito Salatto

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