Indonesia, la sfida di Joko Widodo

Il nuovo Presidente della Repubblica indonesiana, Joko Widodo, si è insediato ufficialmente lunedì 20 Ottobre, a tre mesi dalle elezioni. Guiderà  un Paese di 240 milioni di abitanti, sparpagliati in non meno di 13466 isole. La popolazione è per il 90% musulmana, e questo ne fa la più grande terra islamica del Mondo, disseminata di minoranze, cristiane, buddiste o confuciane. Lo scorso Luglio gli indonesiani hanno vissuto con grande partecipazione queste presidenziali per permettere a Joko Widodo, uomo del popolo la cui principale sfida sarà quella di tentare riformare la prima economia dell’Asia del Sud, di diventare il loro Presidente.

La vittoria di Widodo, che ha battuto l’ex generale Prabowo Subianto, rappresenta un grande cambiamento e tanta speranza per l’Indonesia. Dal 1998 e dalla fine della dittatura Suharto, dopo 32 anni di potere, i presidenti che si sono succeduti provenivano tutti dalla cerchia che controllava il Paese nell’era dei militari. Joko Widodo è invece cresciuto in una capanna di bambù nell’isola di Giava,  è un ex venditore di mobili che ha fatto fortuna e ha deciso di lanciarsi in politica. Da allora la sua ascesa è stata folgorante, ricordandosi sempre però delle sue origini. Sindaco di Solo la sua città natale nel 2005, è diventato Governatore della capitale Jakarta nel 2012. Ha promesso di lottare contro la corruzione endemica e sviluppare un’economia aperta verso il mare con il miglioramento della funzionalità dei porti di questo vastissimo arcipelago. Ma non ha detto dove avrebbe trovato i soldi. Denaro del quale avrà bisogno anche per migliorare l’accesso alla sanità e all’istruzione. In poche parole rendere più ricco un Paese dove il 40% della popolazione vive ancora con meno di due dollari al giorno. Ricordiamo che Joko Widodo è conosciuto in Indonesia per la sua lealtà. Nel 2012, una volta eletto Governatore, ha aperto i cantieri per la metro della capitale, progetto per il quale la popolazione non aveva più speranze, risalendo il primo studio di fattibilità agli anni ’80. Ha anche smobilitato i mercatini che si trovavano in pianta stabile vicino ai fiumi e che regolarmente erano vittima di terribili inondazioni, così come ha fatto costruire case per i poveri. Ha anche lottato per cose “simboliche” ma esemplari per la comunità, come fare in modo che i funzionari pubblici arrivassero al lavoro in orario.

Certo, dirigere una città, per quanto grande possa essere, non è la stessa cosa che dirigere un Paese. E Joko Widodo avrà a che fare con dossier delicati, accantonati dai predecessori. Primo fra tutti il problema delle infrastrutture, soprattutto dei trasporti: le strade sono in pessimo stato, non esistono quasi autostrade e le ferrovie risalgono all’epoca coloniale. Cosa ancora più grave, in questo Paese formato da 13466 isole, il sistema portuale è drammatico, mentre i Paese auspica diventare un grande Paese esportatore. Ma lo stato delle infrastrutture lo pone agli ultimi posti e la concorrenza è grande: Vietnam, Tailandia, Cina. L’Indonesia ha perso porzioni di mercato internazionale per questo. Inoltre il Paese ha la necessità di creare posti di lavoro visto che la popolazione aumenta rapidamente e che l’80% dei posti di lavoro provengono dal sommerso, come in India. Questo è dovuto alla mancanza di infrastrutture e di industrializzazione che dal 1998 non sono riuscite a stare a passo con i tempi. Inoltre nel campo della formazione l’Indonesia non produce manodopera specializzata per un’economia moderna. Queste sono le sfide di medio e lungo termine che aspettano il neo Presidente.

Per finanziare le nuove infrastrutture e l’aiuto ai più poveri, Joko Widodo ha previsto di ridurre le sovvenzioni che mantengono il prezzo della benzina basso, ma che pesano per il 9% sul bilancio dello Stato e costano al Paese 3 punti di PIL. Problema: se è la classe media e la classe agiata a beneficiarne maggiormente per i suoi 4×4, anche i più poveri verrebbero colpiti dall’aumento del costo della benzina – e sono loro ad essere più agguerriti nel manifestare. Risultato, gli sforzi fatti negli ultimi anni dai presidenti che si sono susseguiti per ridurre questi aiuti hanno fallito. Altro problema: Widodo non dispone della maggioranza all’Assemblea nazionale ma del 39% dei voti, cosa che lo costringerà a fare dei compromessi. Non è una novità: i suoi predecessori hanno dovuto sempre negoziare con gli altri Partiti politici. Ma per lui  la strada è già in salita visto il suo rifiuto di scambiare “sostegno” con posti di rilievo nel Governo, in nome della volontà di trasparenza nella conduzione degli affari del Paese, decisione che ha portato alcuni Partiti non allineati nell’opposizione. Il nuovo Presidente formerà quindi delle coalizioni di circostanza, e la sua scelta del vice-Presidente ne è la prova: Jusuf Kalla, che fu vice-Presidente dell’ex Presidente Yudhoyono e famoso per essere abile nell’utilizzare lo strumento della carota e del bastone per creare coalizioni a sostegno del Presidente. Non dimentichiamo che Joko Widodo può soprattutto contare su di un sostegno popolare abbastanza forte e su parte dei media, che hanno fatto campagna per lui. Ultima, ma non per importanza, è la sfida contro l’ISIS. Il Capo della diplomazia americana, john Kerry, in Indonesia per la cerimonia di investitura di Widodo, ha incoraggiato il Paese ad aumentare gli sforzi nella lotta contro l’organizzazione terroristica, minaccia crescente nella Regione ad alta percentuale di musulmani.

E’ importante però sottolineare un dettaglio importante. Alla fine di Settembre, il Parlamento indonesiano ha abolito la legge che, dal 2005, autorizzava l’elezione a suffragio diretto dei dirigenti locali. E’ proprio questa legge che aveva permesso ad una nuova generazione di politici, di estrazione popolare, di emergere. Tra di loro un certo Joko Widodo, diventato Sindaco della sua città, primo passo di un cammino che lo avrebbe portato alla Presidenza della Repubblica del suo Paese.

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