Fiscal Compact, tra adesioni e distinguo
Fiscal Compact è l’anglicismo che indica il “Patto di Bilancio Europeo”, la cui storia parte dal 1997. Sull’onda dell’adozione dell’euro, prevedendo stabilità dei cambi e interessi bassi, i paesi aderenti alla UE concordarono di adottare criteri di bilancio che evitassero il ricorso al debito per finanziare i deficit. Si stabilì quindi che il rapporto tra Pil e debito pubblico dovesse stare sotto la soglia del 3% con tetto dell’indebitamento al 60%.
La crisi greca spinse la Germania a chiedere vincoli decisamente più stringenti sull’applicazione della debt-rule. Prevedeva che in caso di crisi, l’intervento di Commissione Europea e Corte di Giustizia con l’irrogazione di sanzioni in modo automatico ai paesi trasgressori. Da qui al nostro Fiscal Compact il passo è breve, i punti cardine sono l’inserimento con valore normativo costituzionale del pareggio di bilancio, limiti al superamento della soglia di debito, coordinazione dei piani con gli organismi europei e, soprattutto, riduzione del debito pubblico del 5% annuo per 20 anni fino al rientro nella soglia stabilita del 60%.
Annotiamo tra le voci critiche, i premi Nobel per l’economia di matrice keynesiana, Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eric Maskin e Robert Solow. Questi, appuntandosi sui problemi avuti dal Presidente Obama nella gestione del vincolo del pareggio in bilancio, affermano che queste politiche non incidono sulla soluzione del problema, ma bloccando la spesa pubblica in tempo di stasi innescano un perverso meccanismo di auto-alimentazione di decrescita del reddito ed aumento della disoccupazione.
Per l’Italia che vanta un debito pubblico pari al 133% del Pil, adeguarsi alle regole del Fiscal Compact comporterà un esborso annuale di 50 miliardi di euro per rientrare nei parametri. Questo in un ambiente che viva un aumento del Pil del 2% annuo, valore decisamente ottimistico considerando i 6 decimi medi raggranellati negli ultimi venti anni.
Come si è comportato il variegato mondo politico rispetto al Fiscal Compact? Se la CDU della cancelliera Merkel è stata il grande propulsore che ha portato alla nascita del trattato, con il convinto appoggio del PPE, tranne alcune frange dell’ala più a destra; i maggiori partiti italiani, l’ex PDL ed il PD, non si sono fatti mancare gli abituali bizantinismi. Pur approvando in toto il Fiscal Compact, evitando persino il referendum confermativo, non hanno resistito alla tentazione di un poco di populismo. Il centro-destra invocando impossibili sforamenti del limite del 3%, la sinistra chiedendo la fine dell’austerity. Controversa la nascita del sì da parte francese, il Partito Socialista salito al potere, si è trovato ad dover approvare un trattato di cui Sarkozy era stato uno dei fautori. Hollande , inizialmente contrario all’inserimento nella Costituzione, con diversi mal di pancia aderì infine in cambio della promessa di un futuro piano di crescita.
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