Paola Montenero e il suo Dolce mattatoio
Muore Paola Montenero (Roma, 13 marzo 1951 – 25 ottobre 2016), affascinante attrice del cinema di genere degli anni Settanta. Lo storico del cinema Roberto Poppi la ricorda così: “Stava male da molto tempo e le ultime strazianti parole sono state: sto morendo, se non ci sentiamo domani non ci sentiremo più. Non aveva avuto una vita facile Paola… ma non voglio parlarne”. Aveva lavorato con Mario Bava (Reazione a catena, 1971), Pasquale Festa Campanile (Rugantino, 1973), Daniele D’Anza (Ho incontrato un’ombra, 1974), ma soprattutto Spell-Dolce mattatoio (1976) di Alberto Cavallone. Si ricorda anche per Il mondo porno di due sorelle (1979) di Franco Rossetti e Action (1979) di Tinto Brass. Due film con Bruno Mattei: La vera storia della monaca di Monza (1980) e L’altro inferno (1981), suo ultimo lavoro per il grande schermo. Sposata con il regista Massimo Pirri, scomparso nel 2001, che la diresse in Calamo (1975), prima di chiudere con il cinema interpreta La locanda della maladolescenza (1980) di Bruno Gaburro e Dolce gola di Marino Onorati. Voglio ricordarla con la recensione del suo film più importante.
Spell (Dolce mattatoio) è stato rieditato con il pirandelliano titolo L’uomo, la donna e la bestia, ma resta un buon film con protagonista la provincia italiana, vizi e virtù di un mondo piccolo. Alberto Cavallone lo gira a casa propria – Castelnuovo di Porto – tra processioni, sagre di paese, bambini che giocano, inserti documentaristici e parti di pura fiction per raccontare il degrado della provincia. Un vagabondo arriva in paese e semina scompiglio – come il ragazzo del pasoliniano Teorema (1968) – tra situazioni marginali che vedono protagonisti molti abitanti e che sono lo specchio della realtà. Vediamo Monica Zanchi (ragazza del mese su Playboy 1976) nel ruolo di una giovane prostituta che se la fa con un integerrimo carabiniere ed è al centro dei sogni erotici del paese. Un perverso macellaio spia le ragazzine, si masturba con i quarti di bue, sogna di giocare a biliardo con la vulva della Zanchi, si chiude nella cella frigorifera con Jasmine Tanzilli che fugge via e pone un occhio animalesco nella vagina. La sequenza che vede la Zanchi a vulva aperta sul tavolo da biliardo è stata realizzata in un vero bar, molto controvoglia; l’attrice pretese la presenza del solo attore maschio e di un operatore.
Un intellettuale marxista (Pilastri) vive con la moglie pazza (Paola Montenero) che mangia nel bagno, beve l’acqua del water, scopa con il vagabondo e finisce per defecargli in bocca prima di massacrarlo a forbiciate. Questa è la sequenza più estrema del film, ripresa in primo piano, ma il regista giura di averla realizzata con cioccolata e polenta. Ancora una volta si notano echi di Pasolini, del recente Salò (1975), opera postuma più che trasgressiva. Critica politica con un giornale dove c’è scritto “Mao è morto” e lui si rende conto che non è più tempo di credere al partito. Molte scene riprendono la vita di provincia, vera protagonista in negativo, tra osterie, parrocchie, Luna Park, bambini che giocano con la fionda e con il pallone nei campetti dell’oratorio. Rapporto moglie-marito anni Settanta, quasi da padre padrone, tradimenti immaginati, masturbazioni nascoste, preti che nutrono sogni carnali, carabinieri corrotti che recitano da perfetti padri di famiglia.
Il film è girato molto bene, ricco di particolari e di movimenti di macchina convulsi, anche se i dialoghi sono modesti e artefatti. L’atmosfera è torbida, sottolineata da un buon commento musicale e da affermazioni come “La realtà è l’unica medicina per andare avanti. Sognare non serve a niente”. Abbiamo una figlia messa incinta dal padre che vorrebbe scappare via con lui ma alla fine resta in paese e i genitori sono concordi nell’organizzare un matrimonio riparatore con il primo che capita. Vizio, depravazione, immoralità, tra musica da balera e sensazioni forti, ubriachi che parlano di politica e follia individuale. Il dolce mattatoio è la provincia, l’inferno quotidiano dove sopravvivere, tra parti oniriche che ritraggono sogni erotici inconfessabili come far l’amore con il prete che si toglie la tonaca o con un ragazzino di passaggio. Il regista a un certo punto butta là un suo pensiero e lo mette in bocca a un personaggio: “Non ho ancora capito se il mio è un lavoro serio. Forse bisognerebbe pensare solo alla realtà. Sono stanco di ricevere bidoni al posto della realtà. Ne ho abbastanza dei preservativi sulle idee”. Un erotismo malsano la fa da padrone con echi surrealisti, dipinti con la testa di Lenin sulla vulva femminile, corpi nudi che si riflettono sugli specchi, un gallo che canta e segna il passare del tempo.
Un film che non consente mezze misure: si ama o si odia. Impossibile non citare Pasolini per i molti riferimenti, dal vagabondo che sconvolge la quiete del paese alla merda ingurgitata dal ragazzo prima dell’eccidio. Fellini fa capolino nel finale, quando il ragazzino abbandona il paese di notte e si ferma con lo sguardo fisso nella macchina da presa. Come non ricordare il finale de I vitelloni (1953) quando Franco Interleghi – Moraldo, alter ego del regista – lascia in treno la sua provincia? Autobiografia del regista che lascia il paese per tentare l’avventura intellettuale. Bataille con la Storia dell’occhio e De Sade con le mille perversioni tratte dai suoi libri, ma soprattutto da Le 120 giornate di Sodoma, sono fonti sicure d’ispirazione, così come la rilettura del poeta maledetto francese Lautréamont.
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Regia, Soggetto, Sceneggiatura, Montaggio: Alberto Cavallone. Fotografia: Giovanni Bonicelli (Eastmancolor). Scenografie: Joseph Teichner. Direttore di Produzione: Giuseppe Scavuzzo. Produzione: Nicolò Pomilia per Stefano Film. Distribuzione: Stefano Film. Musica: Claudio Tallino (Edizioni Musicali Aris). Aiuto Regista: Fabio Spaltro. Interni: Studi De Paolis. Durata: 103’. Interpreti: Jane Avril (Maria Pia Luzi), Martial Boschero, Angela Doria, Emanuele Guarino, Macha Magall, Aldo Massasso, Antonio Rea, Corrado Merani, Agostino Pilastri, Fabio Spaltro, Stefania Spugnini, Josiane Tanzilli, Monika Zanchi, Paola Montenero, Luigia Giuri, Nino Col, Mario Pasquarelli, Giulio Sepioni, Domenico Rizzo.
[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]