Lituania in cerca di autonomia energetica con LNG Connection
Algirdas Butkevičius, leader del Lietuvos Socialdemokratų Partija (LSDP) dal 2009, è Primo ministro della Lituania dall’ottobre del 2012, ovvero da quando il LSDP ed il Darbo Partija (Partito Laburista) sconfissero la coalizione di centro-destra del premier uscente Andrius Kubilius. In quell’ottobre, oltre alle elezioni parlamentari, si tenne un referendum consultivo sulla costruzione di una centrale nucleare a Visagina (onde supplire al decommissionamento della centrale di Ignalina, costruita in epoca sovietica) che si concluse con una secca affermazione dei “no” (al 65% su un milione e quattrocentomila votanti). Anche il leader del LSDP si oppose alla nuova centrale, intravedendo per il Paese baltico il rischio che “la tanto ventilata indipendenza energetica dalla Russia si trasformi in una schiavitù permanente nei confronti degli investitori globali.”
A due anni esatti da quella tornata referendaria, lunedì scorso, Butkevičius (per l’occasione in compagnia della presidente lituana Dalia Grybauskaitė e di rappresentanti istituzionali di Lettonia, Estonia, Norvegia Finlandia, Svezia, Stati Uniti e del Consiglio UE) era sulla banchina del porto di Klaipėda per accogliere l’ingresso dell’Unità Galleggiante di Stoccaggio e Rigassificazione (Floating Storage and Regasification Unit, FSRU) “Independence”.
Sotto il profilo tecnico, l’“Independence” (nomen omen?) è una metaniera costruita da Hyundai Heavy Industries in Corea del Sud, di proprietà della Höegh LNG di Oslo che l’ha concessa in leasing per 10 anni con opzione di buy-out alla Klaipėdos Nafta – società pubblica che ha sviluppato il progetto investendovi 100 milioni di Euro e che si è avvalsa quale consultant della società texana di progettazione Fluor Corporation. Misura 294 metri di lunghezza, 46 di larghezza e 47 di altezza. Può gestire annualmente quasi 4 miliardi di metri cubi all’anno di gas naturale liquefatto (GNL) con una capacità di stoccaggio interna di 170 mila metri cubi. La Lituania è il quinto Paese al mondo a dotarsi di tale tecnologia per lo sfruttamento del GNL, preceduta solo da Brasile, Emirati Arabi, Indonesia ed Italia.
Da un punto di vista geostrategico, il terminale GNL in via di ultimazione nel porto baltico (di cui il FSRU rappresenta il cardine), è ritenuto dalla Commissione UE l’unica soluzione possibile per aumentare la diversificazione delle forniture di gas per i Paesi baltici e ridurre il rischio di “gravi interruzioni” all’approssimarsi della stagione invernale, come riportato nell’European Energy Security Strategy pubblicato il maggio scorso.
Sulla differenziazione delle fonti di approvvigionamento resa possibile dal rigassificatore, nonché sul ruolo pivotale assunto dalla Banca Europea per gli Investimenti (BEI), si è soffermato nel suo intervento di lunedì scorso il Commissario europeo per l’energia Günther Oettinger. Gli ha fatto eco la Grybauskaitė, che ha anch’essa posto l’accento sulla valenza geopolitica del terminal LNG.
Il fresco di nomina Ministro dell’Energia lituano Rokas Masiulis (che prima di ricoprire tale incarico – vale a dire sino al mese scorso – è stato il Managing Director della Klaipėdos Nafta), ha dichiarato che il terminale galleggiante risolverà i due problemi energetici principali del Paese, ovverosia la (completa) dipendenza dalla Russia per le importazioni di gas e di energia elettrica.
Da parte statunitense, si è unanimemente celebrato l’apparente coronamento degli sforzi diplomatici ed economici compiuti dalle recenti amministrazioni per allentare la morsa energetica del gigante eurasiatico sulla cosiddetta new Europe – di cui i Paesi baltici rappresentano certamente l’anello più debole.
Amos J Hochstein, nel ruolo di Inviato speciale e coordinatore per gli Affari energetici internazionali a capo del Bureau of Energy Resources nel Dipartimento di Stato, ha messo in luce i benefici per i consumatori, a suo dire tangibili anche ad impianto ancora non avviato.
Ha rilanciato il Segretario di Stato John Kerry, che lunedì tramite un comunicato ha affermato pomposamente che “l’inaugurazione del terminale GNL a Klaipėda rappresenta una pietra miliare nella sicurezza energetica della nazione baltica”, ed ancora che “gli Stati Uniti auspicano di proseguire nel loro impegno congiunto con la Lituania, con gli altri paesi della regione, e con l’Unione Europea per rafforzare ulteriormente la sicurezza energetica in Europa”. USA e (parzialmente) UE, ebbre di prematuro trionfalismo geopolitico, rischiano tuttavia di aver fatto i classici conti senza l’oste (la Federazione Russa).
Onde porre al sicuro la viabilità dell’infrastruttura energetica, la Lituania ha infatti siglato un contratto di cinque anni con la società norvegese Statoil (controllata dallo stato) per la fornitura dei quantitativi di GNL necessari a garantire almeno la minima operatività ammissibile al terminale (0,54 miliardi metri cubi l’anno). Proprio per i collaudi della struttura, martedì scorso una nave ha immesso nel terminal i primi 50 milioni di metri cubi di gas della Statoil.
La russa Gazprom, fino ad oggi unico fornitore di gas della Lituania, non è rimasta inoperosa. Al contrario, per tutta risposta, ha dato una drastica sforbiciata alla bolletta energetica lituana, tagliata d’emblée del 20%. A tale mossa, la Norvegia ha risposto tramite Vidar Helgesen (capo del gabinetto del Primo Ministro Erna Solberg), il quale nel corso della cerimonia in porto ha puntualizzato che il governo non ha intenzione di condizionare le scelte della Statoil sul prezzo del GNL venduto alla Lituania – nemmeno nel caso in cui la politica dei prezzi perseguita dalla Gazprom rendesse non remunerative le importazioni di gas liquefatto nel neonato terminale di Klaipėda. Potrebbe avverarsi la profezia della parlamentare Birutė Vėsaitė, anch’essa appartenente al LSDP, che un paio di anni fa dichiarò che il rigassificatore in fieri si stava rivelando così costoso da render potenzialmente più convenienti le forniture della Gazprom.
Un’analisi costi/benefici sull’opera deve certamente apprezzare i vantaggi economici che gli utenti lituani sembrano aver già conseguito tramite la – parziale – apertura del mercato. Tuttavia, non può esser sottaciuto come l’interesse ultimo dei diversi attori coinvolti nella costruzione del terminale GNL non fosse esclusivamente rivolto al costo della bolletta per la cittadinanza. Ché, se così fosse stato, non si sarebbe avuto alcuno shutdown della centrale nucleare di Ignalina (chiusa il 31 dicembre 2009 in ottemperanza agli accordi di adesione all’UE) con relativa impennata dei costi dell’energia per i Lituani nell’ordine del 50%.
Il vero movente dell’operazione è geostrategico; assicurare uno sganciamento effettivo e non solo formale della Lituania (e degli altri Paesi baltici) dal gigante eurasiatico. Tuttavia, il calcolo euroatlantico sembrerebbe inficiato da assunti dimostratisi errati. La Federazione, lungi dal subire passivamente l’attivismo “occidentale”, ha già dimostrato di voler e saper utilizzare appieno le leve economiche ed energetiche di cui dispone, minacciando di rendere “Independence” non tanto un presagio di glorie venture, quanto una semplice scritta pitturata su una scatola vuota d’acciaio.
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