Salone del Gusto, la qualità per sconfiggere la crisi

Dopo anni di continua crescita, la ricerca della qualità alimentare da parte dei consumatori italiani ha ceduto il passo a quella del minor prezzo. Il messaggio, negativo per gli operatori della qualità,  è giunto dal Salone del Gusto-Terra Madre da poco chiuso a Torino, dedicato al cibo ‘buono, pulito e giusto’, secondo i dettami di Slow Food che l’organizza. Come ha notato in occasione dell’evento Marco Pedroni, presidente di Coop Italia, “fino al 2012 i consumatori guardavano sì al prezzo ed alle offerte, ma sempre di più alla qualità degli alimenti. Nell’ultimo biennio però c’è stata un’inversione di rotta, e cresce la tendenza ad accettare il compromesso tra qualità e prezzo”.

Colpa della crisi. Che ormai sta svelando, per la sua lunga durata, di non essere questa volta un temporaneo picco negativo, ma una trasformazione profonda, strutturale, del sistema dell’economia mondiale. E’ per ragionare su temi come questo che grandi eventi come il Salone del Gusto sono da anni al lavoro: fondata a Bra nel cuneese nel da Carlo Petrini col nome di Arcigola, Slow Food è oggi una associazione internazionale non profit che opera in 150 Paesi per ‘nutrire il Pianeta’, slogan rilanciato come sottotitolo da Expo2015. L’edizione 2014 del biennale Salone ha registrato una conferma delle 220 mila presenze del 2012, ma con un aumento dei visitatori stranieri rispetto a quelli italiani. E sul tema del cibo ‘buono, pulito e giusto’, cuore del progetto di Slow Food ‘Terra Madre’, il Salone torinese è stato teatro del dibattito sulle politiche nazionali e comunitarie ancora poco attente a tutelare i produttori, i consumatori e la salute dai corpi intermedi, che avvalendosi della carenza di norme su certificazione ed etichettatura, non premiano la qualità sul campo; anche se creando la parte maggiore del prezzo imposto sul banco del mercato.

“Su pressione di alcuni stati, l’Unione Europea è impegnata di più sull’aspetto economico degli scambi che nel legiferare sulla vera tutela alimentare”, ha detto infatti al Salone Bruno Rivarossa, capo area organizzazione della Coldiretti nazionale, nel rilevare un rischio di allentamento dei controlli. La ‘ricetta’ di Coldiretti per riconoscere il giusto prezzo alla qualità sul campo e contemporaneamente ridurre il prezzo della qualità al banco del mercato è certificazione ed etichettatura, ma anche ‘chilometri-zero’. Per Gaetano Pascale, presidente di Slow-Food Italia invece,  “è urgente un intervento del legislatore per rendere finalmente trasparenti le informazioni. Bisogna studiare una formula per obbligare a trasferire sulle etichette certe informazioni. I produttori devono lavorare in ‘case di vetro’”. Ma per Pascale certificazioni ed etichette servono a far sì che ”i consumatori siano propensi a spendere qualcosa di più, sapendo di avere precise garanzie sull’origine dei prodotti e sulla loro sicurezza alimentare. Altrimenti, la situazione spingerà molti produttori a cercare qualche scorciatoia”. Non c’è altra strada – ha detto invece Pedroni, seguendo una strategia simile a quella di Coldiretti – che rendere più accessibile a tutti il prezzo dei prodotti realizzati secondo principi etici e nel rispetto della sicurezza alimentare”.

Su un punto però la battaglia per la qualità, la salute ed il giusto prezzo al produttore e al consumatore unisce Slow Food, Coldiretti e tutte le organizzazioni impegnate nel settore dell’alimentazione: quella contro l’agri-pirateria, le sofisticazioni, le imitazioni ed altri inganni. “Gli inganni – ha spiegato al Salone Michele Fino, docente presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, una delle realizzazioni di Slow Food  – hanno tantissime facce: ci sono imitazioni, contraffazioni, prodotti con il marchio italiano ma che di italiano hanno solo l’azienda che li ha inscatolati o imbottigliati, mentre molti ingredienti arrivano da altri mercati”.Di qui la necessità di sostenere, anche con ‘certificazioni’ i prodotti che invece sono di qualità; e di qui, ad esempio, i ‘presìdi’ di Slow Food, sorta di certificazione – non ufficiale – dei prodotti di eccellenza gastronomica minacciati dall’agricoltura industriale e non ancora o non sufficientemente tutelati dal sistema di certificazione ‘ufficiale’.  Nell’ambito della presentazione di Slow Wine, la guida di Slow Food Editore che recensisce 1.909 cantine italiane, il Salone è stato occasione per premiare l’imprenditore vinicolo siciliano Gianfranco Daino di Caltagirone (Catania) come “Produttore di vino più sostenibile 2014”.

Nel settore panificazione nuovo grande successo per il pane di Lariano, premiato nel 2011 con la registrazione del Marchio Collettivo Geografico e ancor prima con il riconoscimento ufficiale nella Gazzetta della Repubblica Italiana di Prodotto agroalimentare tradizionale della Regione Lazio. Ma l’apertura del movimento e del suo Salone è internazionale: l’Arca del Gusto, storico incubatore di Terra Madre e realizzata come ‘casa’ per i prodotti, materie prime o trasformati a rischio di estinzione, ha superato in questa edizione le duemila candidature, con numerose segnalazioni da Italia, Messico, Turchia, India, Thailandia, Emirati Arabi e Malawi. Da notare infine l’apertura del Salone ad altri settori della green-economy: a Torino è stato presentato infatti il piatto compostabile, biodegradabile al 100%, realizzato con sole materie naturali (mais e oli vegetali) e resistente fino a 100 gradi. Il piatto, realizzato in collaborazione con altre aziende italiane dalla Novamont produttrice del Mater-bi – materia prima dei moderni eco-shoppers – sarà in tavola all’Expo 2015. Per la bioedilizia ha fatto notizia invece un nuovo isolante ‘bio’ per l’edilizia realizzato con lana di pecora e alga ‘posidonia’ dall’industria sarda Edimare-Edilana, che si è aggiudicato il primo posto come miglior prodotto nella categoria coibenti naturali al “Premio Abitare Verde for Expo 2015.

Last but – non certo, per Slow Food  – least, i grandi problemi internazionali: come il ‘land grabbing’, l’accaparramento di terre in Africa, America Latina, Asia ed Europa dell’Est da parte di  soggetti del  settore agroalimentare, ma anche società finanziarie e fondi sovrani: investitori europei, soprattutto del Regno Unito e Germania, e asiatici, di Cina e India, rappresentano circa i due terzi dei dati del land grabbing che hanno preso possesso di 86 milioni di ettari solo negli ultimi 6 anni, 5 volte la superficie dell’Italia, destinati alle produzioni industriali e ai mercati esteri anziché  all’agricoltura di sussistenza per gli abitanti dei Paesi interessati.

©Futuro Europa®

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