Provocazioni russe

A un vecchio “guerriero della guerra fredda” (“cold war warrior”: così li definiva John Le Carrè) i sorvoli di aerei da combattimento russi su Paesi del nord della NATO non suonano nuovi. Alla NATO, nel lungo quarantennio di contrapposizione tra i due blocchi, le provocazioni sovietiche erano considerate un fatto abbastanza normale e non destavano particolari allarmi. A cosa rispondevano? Magari a qualche contorto risvolto di politica interna sovietica. Ma molto probabilmente anche al bisogno di “testare” la prontezza di reazioni degli Alleati, che del resto veniva puntualmente confermata (posso dire, per diretta conoscenza, che la NATO disponeva allora e dispone adesso di un sofisticato sistema di rilevazione, di allarme e, se occorre, di reazione).

A cosa servono ora i voli russi? Non credo tanto a testare l’attenzione e la capacità di reagire della NATO (gli inglesi, che in queste cose non scherzano, non hanno tardato un attimo a dimostrarla: i loro caccia si sono levati subito in volo per intercettare gli aerei russi; se uno pensa all’efficacia della RAF contro l’aviazione nazista nei primi anni dell’ultima guerra, non c’è molto da dubitare sulla capacità e la determinazione britannica in questa materia). A Mosca queste cose le sanno fin troppo bene. E allora? Allora la mia impressione è che Putin abbia deciso di rispondere alle sanzione europee volendo dimostrare all’Europa che la Russia è di nuovo una grande potenza militare, capace di colpire tutto il territorio europeo dell’Alleanza e che va quindi presa sul serio (come, va detto, la NATO prendeva sul serio l’URSS). Si tratta solo di un bisogno di ristabilire il proprio prestigio impaurendo gli europei? può darsi. Ma  può darsi anche che lo zar moscovita guardi più lontano. Egli ha ereditato da Eltsin una situazione di debolezza strategica obiettiva della Russia, che si è vista in pochi anni la NATO espandersi fino ai suoi confini diretti (in passato, la Turchia era il solo membro dell’Alleanza con una estesa frontiera terrestre con l’URSS, ora ci sono i baltici). Ho vissuto in diretta l’allargamento dell’Alleanza negli anni Novanta, so quanto costò a Eltsin accettarla (ma non aveva molte altre scelte) e se al potere ci fosse già stato Putin le cose sarebbero state molto più difficili (lo avvertì Lech Walesa in una riunione alla NATO di quegli anni che ho più volte ricordata su queste colonne: bisognava approfittare della “finestra di opportunità” aperta dalla relativa debolezza della Russia di quegli anni per mettere in salvo la Polonia e gli altri paesi  usciti dal comunismo).

Dal suo punto di vista, Putin è certamente convinto di avere da parte sua le ragioni della “realpolitik” e ovviamente questa convinzione non va ignorata o sottovalutata. Alla NATO e ai suoi membri principali spetta perciò  mantenere un prudente autocontrollo (immaginiamoci le conseguenze di un aereo russo abbattuto!), ma anche di non lasciare dubbi sulla loro fermezza. Nessuno deve pensare che sovvertire gli equilibri strategici europei stabilitisi negli anni Novanta e inizio Duemila sia senza costo. Già alla fine degli anni Settanta, una URSS in evidente affanno cercò di giocarsi la carta della vulnerabilità europea spiegando i suoi SS 20, missili di medio raggio che non potevano  raggiungere gli Stati Uniti ma potevano colpire, dalla Germania Orientale, tutti i paesi europei dell’Alleanza. Il calcolo era che, ad un attacco alla sola Europa, gli Stati Uniti non avrebbero reagito con i missili intercontinentali per timore di una risposta sovietica contro il loro territorio (era il temutissimo “decoupling”) e che, nel dubbio, gli europei avrebbero ceduto a qualsiasi diktat di Mosca. Sarebbe stata la fine dell’Alleanza ma anche dell’Europa libera. La NATO reagì con fermezza e prudenza, con lo spiegamento di missili a medio raggio americani, che permettevano una risposta puntuale e locale ad eventuali minacce sovietiche e, di fatto, le rendevano vane, ma allo stesso tempo avviando l’eliminazione di migliaia di missili obsoleti dal territorio europeo. Il governo italiano dell’epoca, presieduto da Francesco Cossiga, con il decisivo appoggio di Craxi, fu parte importante in questa decisione. L’URSS di Breznev mancò il colpo e questo segnò molto probabilmente il punto d’inizio della sua implosione.

In tempi diversi, messo davanti alla realtà, Eltsin scelse la strada di un accordo con la NATO che dava alla Russia un ruolo egualitario. Putin parve seguire la stessa strada nel vertice di Pratica di Mare (lo persuase Berlusconi? Perché no!); però poi ha imboccato una strada diversa, prima cercando (e in parte riuscendo) di riprendersi l’Ucraina, ora tornando a puntare su una dimostrazione di potenza e di  vulnerabilità europea (forse conta sull’apparente debolezza della leadership americana, che potrebbe ridestare il vecchio fantasma del “decoupling”). Ma si tratta di una strada pericolosa per tutti, Russia compresa e i suoi amici italiani dovrebbero farglielo capire. In definitiva (come ha detto la Mogherini nella sua prima conferenza stampa a Bruxelles) lo sviluppo delle relazioni Est-Ovest sta nelle mani delle Autorità russe. A Putin tocca scegliere tra mantenere o riportare la Russia nel grande ambito del mondo avanzato, democratico, prospero, o ritornare ai tempi, che la  Russia sembrava essersi lasciata dietro, della Guerra Fredda. Tempi che non gioverebbero a nessuno, specie di fronte al pericolo complessivo che da oriente minaccia l’intero mondo laico.

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